Il vaso “François” è così chiamato dal nome dell’archeologo italiano – Alessandro François – che lo scoprì nel 1845 nella necropoli etrusca di “Fonte Rotella” a Chiusi. Si tratta di un cratere a volute attico a figure nere. Questa forma di cratere è definita a volute per le due anse sopraelevate che terminano appunto a volute. Varie caratteristiche concorrono a rendere il vaso François unico al mondo. Anzitutto, forma e dimensioni sono molto insolite per l’epoca (570 a.C.). Non vi sono infatti confronti precedenti, e la forma del vaso è rimasta rara anche per il seguito. Un’iscrizione dipinta sul vaso ne riporta, com’era usanza, gli autori: il ceramista Ergotimos e il ceramografo Kleitìas. Inconsueto è invece il fatto che l’iscrizione viene da Kleitìas riportata due volte. Ulteriori elementi peculiari sono il numero esorbitante di didascalie per le immagini, e il fatto che il piede (la parte del vaso più bassa, che poggia a terra) sia decorato. Il cratere era un vaso che veniva utilizzato durante i simposi, ovvero quei momenti in cui gli amici si riunivano a bere insieme, allietati dal canto. Il cratere, κρατήρ – dal verbo greco κεράννυμι, “mescere” – stava al centro della scena del simposio e vi veniva appunto mesciuto il vino con acqua. I convitati, muniti di coppe, attingevano al cratere per bere.
Non finiva qui però la funzione del cratere. Non era un semplice vaso, un contenitore come le nostre brocche d’acqua, al massimo ornate per motivi estetici con qualche fiorellino. Il simposio, infatti, non era semplicemente un momento in cui si beveva ma era anche il momento del canto e del racconto. Era presente un cantore di poesia lirica o epica. Il cratere allora, centro del simposio, è un oggetto che ha in sé una grande potenzialità narrativa, poiché centro della rievocazione di uno straordinario mondo di storie. Questo è il motivo per cui il cratere si riveste di immagini di storie: con la sua ampia bocca, parla, dà uno spunto al canto, sia con il vino che permette di mescere, sia con le sue immagini che ispirano i cantori e i convitati.
A questo punto potremmo chiederci come mai il cratere sia finito in una tomba, dove è stato ritrovato. Perché mettere un vaso da simposio insieme a un morto? Certamente questo vaso potrebbe essere stato utilizzato dal morto durante la vita, ma sappiamo che nell’antichità non ci si faceva seppellire con oggetti giusto perché ci si era affezionati, ma ogni cosa aveva la sua funzione simbolica, e accompagnava il morto nel suo viaggio nell’aldilà. Allora, potremmo rispondere, il vaso è stato posto nella tomba per rievocare al morto il momento del simposio. Potrebbe essere un vaso addirittura mai visto prima dal morto: concettualmente non cambierebbe nulla, perché svolgerebbe lo stesso la sua funzione di richiamare il momento del simposio. Ma, come vedremo, la presenza di questo vaso particolare nella tomba può avere anche un’altra funzione, legata al messaggio che le immagini vogliono trasmetterci.
Quello che ci proponiamo è una lettura iconologica del vaso. Mentre l’iconografia è il semplice riconoscimento di quanto è rappresentato, l’iconologia è l’analisi di quanto ci vuole dire quanto è rappresentato. L’iconologia consiste quindi in un tentativo di decifrazione di quello che viene definito il “programma” dell’artista. La lettura iconologica è perciò definita “lettura a programma”. Ci muoviamo qui, almeno relativamente all’arte antica, in un terreno soggettivo, legato al singolo saggista e alle capacità dell’esegeta. La condizione per l’esegesi è il “tout se tient”, cioè tutto deve potersi tenere insieme. Nonostante queste difficoltà la lettura a programma ha e ha avuto un ruolo fondamentale nella comprensione delle opere, e spesso anche nella ricostruzione della mentalità degli originali fruitori di tali opere. La lettura a programma che seguiremo è quella di Mario Torelli, autore del libro Le strategie di Kleitìas: composizione e programma figurativo del vaso François (2007).
Per comprendere il programma figurativo di un vaso è molto importante tenere conto delle particolari collocazioni delle singole immagini, in quanto esiste una correlazione tra quanto raffigurato e il luogo dove è raffigurato. Quando si descrive un vaso antico, si usa una terminologia simile a quella dell’anatomia umana. In ordine vi sono: la bocca, il collo, la spalla, il ventre e il piede. Le immagini che rivestono il vaso sono, come vedremo, in stretto rapporto con questa anatomia. Ne approfittiamo allora per muovere una critica contro quei libri di storia dell’arte in cui, nelle illustrazioni, le figure sono ritagliate: non si può quindi più mettere in relazione l’immagine col luogo dove è posta e si perde un elemento fondamentale per la lettura a programma.
Nel nostro vaso le immagini sono distribuite su più registri, pure sulle anse. Solo la zona di collegamento tra il ventre e il piede non ne ha. Una cosa fondamentale da comprendere, e che tengo a sottolineare, è che, quando si parla di arte antica, nessun elemento è puramente ornamentale. L’artista antico non componeva l’opera per piacere personale né il suo obiettivo era il piacere estetico dell’acquirente. Per l’uomo antico ciò che era rappresentato aveva una grandissima forza comunicativa e ogni elemento era legato al messaggio che occorreva esprimere e aveva il suo motivo di essere.
La prima cosa da decidere è da dove iniziare la lettura. Secondo Torelli, sarebbe proprio la scelta di Kleitìas di firmarsi per ben due volte, una volta sopra la nave di Teseo, e un’altra volta nel fregio che racconta la grande scena delle nozze di Peleo, a darci una prima chiave per la lettura. Le due firme avrebbero infatti una funzione sintattica: indicano da dove iniziare e finire la lettura, individuando i due momenti più importanti. Come si usa fare durante le letture iconografiche dei vasi, anche noi distingueremo nel vaso un lato A e un lato B. La distinzione è puramente convenzionale. Occorre determinare in seguito la direzione di lettura delle immagini, determinazione importante, che, se non corretta, porta a gravi errori interpretativi. Il nostro vaso ci aiuta: nel primo registro del lato A vi è una serie di personaggi che si dirigono verso destra in corteo, quindi non vi è dubbio che occorre leggere da sinistra verso destra. Nella convincente lettura di Torelli i registri vengono poi letti dall’alto verso il basso. Non troviamo nella nostra lettura nessun problema iconografico: il riconoscimento dei personaggi è reso molto facile grazie alle numerosissime didascalie che ne indicano i nomi. Iniziamo dunque la lettura.
Nel primo registro del lato A vediamo a sinistra una nave con un personaggio maschile che scende; davanti a lui un personaggio femminile, e poi un corteo che si dirige verso destra. Si tratta dell’episodio dello sbarco di Teseo, che sta tornando in patria con i giovani ateniesi liberati dal labirinto, e sbarca nell’isola di Delo, dove viene effettuata una danza denominata “il ballo della gru”. Nel lato B del vaso, in corrispondenza di questo registro, vi è intorno all’imboccatura una sfinge e poi la caccia al cinghiale Calidone, inviato a devastare il territorio dalla selvaggia Artemide, che si era adirata con Oineo perché questi aveva fatto sacrifici a tutte le altre divinità dimenticandosi di lei. Il mostruoso cinghiale è affrontato da una schiera di eroi ancora molto giovani, tra cui il figlio di Oineo, Meleagro, e Atalanta, di cui Meleagro si sarebbe poi innamorato. Fu proprio Atalanta, secondo il mito, a colpire il cinghiale per prima, e a salvare gli altri eroi dalla carica di Calidone che ne avrebbe fatto strage.
In entrambi i registri troviamo gli eroi coinvolti in episodi della loro giovinezza. Nell’episodio della caccia a Calidone, la prima grande prova di valore degli eroi consiste nell’affrontare il cinghiale mostruoso. La caccia nell’antichità era la pratica aristocratica che sostituiva la guerra nel tempo di pace. Non era un semplice hobby, ma un’attività realmente qualificante nello statuto aristocratico. Sull’altro lato vi erano altri giovani scampati ad una prova terribile per merito degli altrettanto giovani Teseo e Arianna. Poiché la firma di Kleitìas sta su questo episodio, è da qui che occorre iniziare a leggere ed è a questo episodio che occorre dare maggiore rilevanza. L’altro è un suo speculare.
Occorre dunque riflettere su quale fosse per i greci il significato del mito di Teseo e Arianna, o il mito del labirinto. Teseo entra nel labirinto dove sa che lo attende un mostro, ma riesce, sconfitto il mostro, a uscirne. La prova di coraggio del labirinto era considerata una prova di iniziazione, superata la quale l’eroe si dimostrava pronto a diventare uomo e a diventare re. Nel labirinto ci si perde giovani, ma si esce pronti a diventare adulti. Il labirinto è dunque simbolico dell’adolescenza, cioè del passaggio dall’infanzia al mondo adulto. Non basta per uscire dal labirinto la forza fisica e il coraggio, ma occorre anche un aiuto: l’aiuto della donna. La riuscita della prova è dunque strettamente legata all’aspetto coniugale, il che ci porta al valore fondamentale dell’unione coniugale nel mondo antico. Il matrimonio rappresentava il fondamento della stirpe, della famiglia, della regalità: era inconcepibile un re senza moglie. Era dunque necessario che nella prova di coraggio fosse presente l’aiuto della donna. Solo questo permetteva all’eroe di guadagnarsi lo statuto di adulto. Lo stesso concetto è rappresentato dalla caccia al cinghiale: il bosco è il labirinto, il cinghiale da uccidere la prova iniziatica, Atalanta che ferisce il cinghiale, che verrà poi finito dagli eroi, l’aiuto della donna. Dunque qui all’imboccatura del vaso troviamo il racconto della prova di iniziazione del giovane eroe che, grazie alla donna, supera la prova e diventa adulto. Vedremo all’interno del messaggio del vaso cosa significano questi due episodi.
Beniamino Peruzzi
Il contenuto dell’articolo proviene dagli appunti del corso di “Mitologia classica e iconografia” tenuto dal Prof. Maurizio Harari cui l’editor rivolge sentiti ringraziamenti
Bibliografia
Mario Torelli, Le strategie di Kleitìas: composizione e programma figurativo del vaso François, Elects, 2007
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