Quando torno da un viaggio, non ne parlo mai. Avete presente quelle persone che raccontano i particolari di ciò che hanno fatto, mangiato, bevuto, visitato? Quelle che ti spiaccicano sotto il naso milioni di foto, che ti sommergono con i souvenir e sembra siano divenuti i migliori esperti di quel posto? Ecco, io, di solito, alla fatidica domanda “Com’era Budapest?” rispondo laconicamente: “Mhm, bella, molto bella.” Solo dopo almeno due mesi sono in grado di parlarne davvero; è come essersi ripresi dal jet lag o da una dolorosa rottura, da una straziante separazione. E ciò che dico e racconto è quello che mi è rimasto dentro, la parte più vera, forse, di quel viaggio.
Budapest è grande, di una grandezza malinconica e decadente. C’è qualcosa di nostalgico nei suoi palazzi enormi, nel modo in cui i viali si aprono ampi tra le fila di alberi, il Danubio scorre sotto i ponti imponenti, che collegano la più moderna Pest alla vecchia e stanca Buda. Ogni città ha una propria luce, un momento particolare in cui essere guardata e amata: per Budapest quel momento comincia dopo le sei di sera (io sono andata a luglio). Allora tutto cambia. Ne sono rimasta doppiamente affascinata. E’ vero che nel sole della mattina ogni cosa è più evidente e che la sera la città si accende e lo spettacolo del Parlamento illuminato è qualcosa da togliere il fiato; tuttavia, la luce del tardo pomeriggio e del tramonto rispecchia il vero animo di Budapest: tutti i particolari emergono, i confini diventano più netti, più precisi e ogni palazzo, via o persona ha calore, rispecchia un’antica grandezza, o la finzione di essa e la malinconia di un passato o di qualcosa che non esiste. Il mio primo consiglio, quindi, è: quando sarete stanchi e stravolti dal viaggio e vorrete solo precipitarvi in albergo e collassare per poi uscire dopo cena, aspettate. Semplicemente passeggiare per Budapest che si scalda nell’ultimo sole dà una pace e una serenità malinconica che svela, secondo me, la vera bellezza e il vero fascino della città.
Tra i miei amici sono abbastanza famosa per la mia ossessione per il mare e per i grandi corsi d’acqua, di conseguenza apparirà piuttosto scontato che io consigli di andare subito verso il Danubio. E’ vero che è scontato, ma non per la mia strana fissazione. La scelta è ampia: si può passeggiare (io e le mie amiche abbiamo camminato dal Parlamento fino al Ponte delle Catene), prendere il filobus giallo, che è caratteristico della città, optare per una gita in barca, sia diurna che notturna. Possiamo camminare dalla parte di Pest e osservare la sponda antica, con il palazzo reale, la chiesa di San Mattia e la Cittadella che trionfa sopra una collinetta verdeggiante, oppure scegliere la riva opposta, calma, con meno traffico e turisti, e da lì fissare imbambolati la grandiosità del Parlamento. Sinceramente, io avrei passato la metà dei miei giorni andando su e giù lungo il Danubio e non credo me ne sarei pentita.
In ogni caso, il Parlamento merita un’attenzione particolare. Costruito dal 1885 al 1904, è il più grande di Ungheria: 268 metri di lunghezza, 118 di larghezza, 96 di altezza nella cupola, per un totale di 17 000 mq di superficie, 691 sale, 18 cortili, 27 ingressi, con 40 kg di oro di decorazioni. Dire che è maestoso è usare un eufemismo.
Passeggiando dal Parlamento verso il Ponte delle Catene, bisogna notare il monumento delle “scarpe sul Danubio”, memoriale per il massacro dei cittadini ebrei compiuto durante la seconda guerra mondiale. Si tratta di una serie di scarpe in ferro inchiodate sulla riva del fiume, in un punto davvero suggestivo.
Il nostro albergo si trovava nel quartiere ebraico, a due passi dalla Sinagoga, che, costruita alla metà dell’800, può accogliere 3000 persone ed è la più grande attiva in Europa e la seconda al mondo. Il suo stile ha elementi bizantini, la facciata è rivestita da mattoni verniciati policromi e dominata da due torri gemelle di 43 m, con cupola a bulbo.
Qui devo esprimere un mio gusto personale e un consiglio altrettanto personale: se dovete scegliere, per questione di tempo, tra visitare l’interno della Sinagoga o quello della Basilica di Santo Stefano non abbiate dubbi: la prima è di gran lunga più affascinante della seconda. Sebbene debba dire che la basilica, consacrata a inizio 900, enorme, a croce greca e in stile neorinascimentale, contenga ben 55 tipi di marmi ungheresi e l’effetto sia di devastante opulenza e grandiosità. (Tralasciando il fatto che vi si trovano le reliquie di santo Stefano, primo re ungherese…) Arriverete a questa basilica attraversando per la via Zrinyi utca, che è molto graziosa durante il giorno e ricca di vita di notte.
Passando ad un’altra parte di Pest, il mio consiglio è di visitare il Castello Vajdahunyad: sembra davvero di essere in una favola. Realizzato in cartone e legno su un isolotto nel parco civico, per l’esposizione celebrativa del 1896, ottenne un successo tale che nel 1904 venne riedificato in muratura. Adesso ospita il Museo dell’Agricoltura Ungherese ed è composto da 21 edifici, che si caratterizzano dalla compresenza di stili romanico, gotico e rinascimentale-barocco. In estate, le aiuole sono completamente fiorite e il verdeggiante e ombroso parco civico è un’ottima idea per riposarsi o fermarsi a mangiare. E’ un luogo fuori dal mondo e dal tempo.
A proposito di posti dove rilassarsi, nello stesso parco civico, troviamo le terme più importanti di Budapest: le terme Szechenyi. Costano davvero poco e sono enormi, con 3 piscine scoperte e 15 vasche all’interno del complesso, dai 20 ai 40 gradi, con bagno turco e sauna. La domenica è il luogo di ritrovo di turisti e ungheresi e ne vale la pena. A Budapest ci sono molti stabilimenti termali, ma quelli di Szechenyi sono i più grandi e antichi.
Per quanto riguarda Buda, sconsiglio di recarsi alla Cittadella. Non voglio essere fraintesa: il panorama che da lì si gode su tutta la città è mozzafiato, ma, probabilmente, la fatica e il tempo impiegato per salirci (a meno che non siate persone molto sportive e molto in forma) non valgono la pena. Meglio visitare il Palazzo Reale, con le sue affascinanti grotte, o la Chiesa di San Mattia, eretta all’inizio del XVIII secolo come ringraziamento per lo scampato pericolo di una pestilenza e dove Mattia Corvino, il più importante sovrano rinascimentale, si sposò due volte.
I musei? Noi abbiamo scelto di visitare solo quello nazionale ungherese e quello delle Belle Arti, nella Piazza degli Eroi, con il monumento eretto, come il castello, per l’esposizione del 1896. Il primo museo è davvero interessante: vi sono raccolte la storia e l’arte ungherese, dal mosaico romano del III secolo alla corona di Costantino IX Monomaco (inizio XI) a quella dei re d’Ungheria (XII), al pianoforte Broadwood che apparteneva a Beethoven. È una raccolta monumentale di statue, vasi, monete, quadri, libri, documenti, oggetti decorativi dai primi insediamenti magiari alla seconda metà del 900.
Il Museo delle Belle Arti è oggettivamente molto ricco, con pezzi d’arte dalla scultura antica all’età moderna. Vi troviamo il Verrocchio, Leonardo da Vinci, Raffaello, Velazquez, ma anche impressionisti e post-impressionisti. Personalmente, l’ho percepito come molto, troppo, grande e dispersivo; un museo che avrebbe potuto trovarsi ovunque, una bella collezione, che non mi ha particolarmente emozionata.
Infine, ho due mete “extra” da consigliare: la pasticceria Gerbeaud, in Vorosmarty ter, e la piazza Deak ter, per una tranquilla serata estiva. La prima, ubicata nella parte più turistica e glamour di Pest, è celeberrima per i suoi cioccolatini. Aperta da un pasticcere svizzero nel 1858, ha una grande sala da tè, in stile viennese, impreziosita da arredi barocchi e pareti tappezzate in verde pastello.
Per quanto riguarda Deak ter, è uno dei punti di ritrovo per l’aperitivo: ci sono molti locali e i tavoli riempiono la piazza. E’ possibile sedersi sul prato e immergere i piedi nella grande vasca illuminata al centro. C’è un’atmosfera tranquilla e rilassata, con musica e un chiacchiericcio continuo e soffuso. Pur essendo gremita di persone, non ho avuto l’impressione di trovarmi nella calca, perdendomi metà della conversazione. Un ambiente simile c’è anche in alcuni chioschi lungo il Danubio, uno dei quali proprio sotto il Ponte delle Catene.
L’aria che anima questi luoghi è quella di rilassata noncuranza, abbandono fiducioso, forse sempre con quella vena malinconica che io non riesco più a non associare a Budapest, al suo decadente impero.
Federica Avagnano