L’obbligazione nello stato di natura – Critica del pensiero politico di Hobbes

Andre-Derain-Golden-age

“Per garantirsi la pace e conservare con essa se stessi, gli uomini hanno fatto un uomo artificiale, detto Stato, e catene artificiali, dette leggi civili, che, con mutui patti, hanno attaccato per un’estremità alle labbra di quell’uomo e per l’altra alle proprie orecchie. Questi vincoli, deboli per loro natura, possono non di meno essere resi saldi non dalla difficoltà, ma dal pericolo di infrangerli”, (Thomas Hobbes, Leviatano).

L’uomo, secondo Hobbes, non è affatto l’animale socievole della visione aristotelica, cioè l’animale che sarebbe portato naturalmente a ricercare la compagnia. L’uomo è invece mosso dalle passioni che lo spingono a ricercare il proprio bene e a evitare il proprio male, in particolare il massimo dei mali, cioè la morte. Da questa considerazione di natura empirica consegue per Hobbes il diritto naturale fondamentale dell’uomo: il diritto all’autoconservazione. Tale diritto* non è in nessun caso cedibile, nemmeno se mettiamo in gioco la nostra vita. Per esempio, facendo un contratto in cui si stabilisce che in caso di trasgressione la parte obbligante avrà diritto a ucciderci, si rimane in diritto di difendersi: una cosa è dire “se vengo meno al patto uccidimi”, un’altra è dire “se vengo meno al patto mi lascio uccidere”; e infatti ogni condannato a morte ha diritto all’estrema difesa, e quindi, osserva Hobbes, deve essere condotto a forza da una scorta.

Dall’osservazione empirica Hobbes ricava anche che nessun uomo è tanto forte fisicamente da poter essere sicuro di non subire il massimo dei mali da parte di altri uomini, ovvero di essere ucciso, il che comporta un’uguaglianza naturale tra gli uomini; oltre a ciò la natura degli uomini è, per Hobbes, caratterizzata dalla volontà di nuocersi reciprocamente, la quale ha molte cause, come il desiderio da parte di due individui della stessa cosa, o la diffidenza reciproca, o la ricerca di gloria. Da queste caratteristiche connaturate all’uomo deriva che nello stato di natura – cioè in assenza di un’autorità che con leggi e con la facoltà di farle rispettare detti agli uomini regole comuni di convivenza che garantiscano la pace e la concordia – ognuno ha lo ius in omnia (il diritto a tutte le cose), ovvero ognuno può giudicare a suo arbitrio cosa sia necessario per la sua autoconservazione, non esistendo i concetti di giusto e ingiusto in assenza di leggi valide. Poiché ognuno ha tale diritto su tutto, a causa di nuovo dell’uguaglianza e della volontà reciproca di nuocersi l’uomo vive in uno stato di terrore: sa che in ogni momento potrebbe trovarsi a combattere contro qualcun altro, e sa che il suo diritto a difendersi non è più legittimo di quello di un altro ad attaccarlo, quando l’altro giudichi che questo sia necessario alla sua conservazione. Lo stato di natura viene perciò detto “stato di guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes)”. Con stato di guerra non è inteso uno scontro continuo, ma una condizione in cui è sufficientemente conosciuta la volontà di combattere; allo stesso modo le cattive condizioni atmosferiche non consistono solo in un rovescio di pioggia, ma in un’inclinazione ad esso.

Lo stesso diritto all’autoconservazione, tuttavia, rende chiaro agli uomini che non è ragionevole rimanere in tale stato di guerra, nel quale la speranza di conservarsi è vaga; tale diritto impone quindi, in primis, di ricercare la pace, per la quale occorre deporre lo ius in omnia. Seguono poi una serie di dettami che occorre seguire per garantirsi la sicurezza e che portano alla costituzione dello Stato. Questi dettami della ragione sono le cosiddette leggi naturali, che Hobbes deduce minuziosamente dal diritto naturale fondamentale e dalla prima legge naturale (“occorre ricercare la pace”); queste leggi si possono riassumere nella regola: “non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te”. Nello stato di natura tali leggi non sono valide, in assenza di alcune garanzie, in particolare della sicurezza che anche gli altri le rispettino; agirebbe anzi contro la retta ragione uno che le rispettasse senza essere sicuro che lo facciano anche gli altri: sarebbe come un agnello che si gettasse in mezzo a un branco di lupi. Ci si potrebbe chiedere come mai tali dettami vengano chiamati leggi: essi sembrerebbero piuttosto misure prudenziali suggerite dalla ragione. Tanto più che Hobbes definisce legge solo il discorso imperativo di chi ha il diritto di comandare. Hobbes risponde tuttavia che tali dettami sono leggi in quanto comandi di Dio, che ha diritto di comando implicito grazie alla sua onnipotenza.

Dallo stato di natura si passerebbe allo Stato civile attraverso un contratto. Condizione fondamentale è chiaramente, come si era accennato, la cessione dello ius in omnia. Un diritto si può cedere in due modi: abdicandovi, quindi con una semplice rinuncia ad esso; trasferendolo a qualcun altro. Il trasferimento, se non è fatto per un bene ricevuto in cambio o per un patto, si dice libera donazione. Da tale donazione ci si attende comunque un bene, pur senza patto, altrimenti si agirebbe contro ragione, poiché ogni azione deve mirare a un bene (anche la soddisfazione personale che accompagna un atto di carità, che secondo Hobbes deriverebbe dalla superiorità che troviamo in noi nel confrontarci con la persona cui si dona, si può intendere come un bene). Il trasferimento del diritto può poi essere reciproco, ovvero due parti si accordano per trasferirsi reciprocamente un diritto, e questo è ciò che si chiama contratto. Il contratto ha alcune condizioni di invalidità ab initio, cioè un patto non è valido quando: è contro la legge; si trasferisce un diritto non trasferibile (come quello all’autoconservazione); ci si impegna in qualcosa di impossibile; si trasferisce un diritto che si era già trasferito in un contratto precedente; non si ha certa manifestazione dell’accettazione dell’altro (quindi non si possono fare contratti con le bestie, né con Dio, se non attraverso i suoi portavoce). Se il trasferimento del diritto non è immediato (il che estinguerebbe subito il contratto), o una parte cede subito il diritto, mentre l’altra promette cessione futura e rimane in debito, o entrambe promettono cessione futura, in questi due casi entrano in gioco nuove condizioni di invalidità: per esempio, se il patto risulta contrario a una legge promulgata dopo la sua stipulazione, esso sarà invalido. Una importante condizione di invalidità riguarda i patti di fiducia reciproca, ovvero quelli in cui entrambe le parti hanno promesso un futuro trasferimento del diritto: se si ha un valido e fondato motivo di dubitare della volontà dell’altra parte a trasferire il diritto, il patto è invalido, a meno che non vi sia una forza coattiva, tale da poter costringere tale parte a fare quanto promesso. Non esistendo nello stato di natura una tale forza cui appellarsi, ogni volta che uno abbia fondato motivo di dubitare dell’altro può invalidare il patto e non è tenuto a cedere il diritto a chi, a suo parere, mostri di non aver più volontà di rispettarlo. Per questo Hobbes arriva a dire che, relativamente a tale caso, “i patti senza spada non sono che parole”.

Tuttavia, da questa condizione invalidante, che farebbe sì che nessun patto di fiducia reciproca sia necessariamente vincolante nello stato di natura, gli studiosi sono spesso stati inclini a scivolare all’affermazione che nello stato di natura non vi sia l’obbligo di tenere fede ai patti, in quanto non ne esisterebbero di validi (nell’accezione vista sopra). Lo stato di natura sarebbe quindi un vuoto morale, in cui vi è assenza di obbligazioni, e il sovrano, istituito con il contratto politico, ovvero il contratto di costituzione della società civile, sarebbe il creatore dell’obbligazione di tener fede ai patti. Questo è quanto, in maniera assai brillante, smentisce il filosofo Howard Warrender. Anzitutto nello stato di natura non è esclusa da Hobbes la possibilità di patti validi: nel caso in cui una delle due parti avesse trasferito il diritto, l’altra non avrebbe il dubbio di non adempimento, e quindi si vanificherebbe la condizione invalidante – il patto sarebbe valido e obbligante. Inoltre il patto per fiducia reciproca è invalidato solo nel caso in cui vi sia fondato e plausibile motivo di sospetto. Ciò vale anche relativamente alle leggi di natura: esse, dice Hobbes, obbligano sempre in “foro interno” (cioè in coscienza), ma non sempre in “foro externo” (cioè non devono sempre essere tradotte in azioni), ovvero occorre sempre sforzarsi e avere disposizione a obbedire alla legge di natura, ma si è obbligati a rispettarla solo in presenza di determinate condizioni di validità. Tali condizioni si possono specificare ricorrendo al concetto di “sufficiente sicurezza”: le condizioni di validità sarebbero soddisfatte quando non vi siano motivi di timore relativamente agli altri. In caso contrario non vi è obbligazione in foro externo e può essere contro ragione (e quindi contro la stessa legge naturale) agire in conformità con la legge. L’obbligazione nello stato di natura sarebbe semplicemente molto spesso sospesa, ma tuttavia presente. Il sovrano istituito allora non creerebbe l’obbligazione ma creerebbe, grazie alla sua forza, le condizioni di validità dei patti, ovvero la condizione di “sufficiente sicurezza”: ad esempio può costringere relativamente a un patto di fiducia reciproca la parte che non avesse più intenzione di trasferire il diritto a farlo.

Inoltre un’altra argomentazione di Warrender a favore della presenza di obbligazioni nello stato di natura, riguarda il patto politico: se nello stato di natura non esistessero obbligazioni, non si potrebbe da un tale stato trarre logicamente l’obbligo morale che l’uomo ha nella società civile. In altre parole, se non esistessero obbligazioni nello stato di natura, non si potrebbe passare da esso allo Stato civile: tale passaggio implica infatti un patto valido, e questo è impossibile se non ammettiamo la possibilità di patti validi nello stato di natura. Importante è la figura di Dio in Hobbes, poiché le obbligazioni che l’uomo ha nello stato di natura derivano dalle leggi di natura che sono appunto i comandi di Dio. Le leggi di natura non obbligano quindi gli atei; ma questi, nel loro essere atei, vanno contro la retta ragione, perché, secondo Hobbes, con l’uso corretto di questa ognuno può inferire l’esistenza di Dio.

La domanda che può sorgere è come potrebbero valere le leggi di natura, e quindi divine, nello stato di natura, se nessuno le può mettere in esecuzione, ovvero può punirne i trasgressori. Anzitutto, risponde Hobbes, c’è sempre Dio a cui la nostra coscienza dovrà rendere conto; ma, soprattutto, l’obbligazione non nasce dalla sanzione, altrimenti la legge non sarebbe che un consiglio di comportamento che si può tranquillamente ignorare accettando la sanzione fisica o pecuniaria che ne seguirebbe. La legge invece è duplice: ha in effetti una parte punitiva, che spesso è una condizione di validità, ma ha anche una parte affirmatoria, che vieta in assoluto (per esempio: “non uccidere/ se ucciderai subirai una grave pena”). È dalla parte che vieta in assoluto che deriva l’obbligazione, cui gli uomini si sottomettono. Warrender riconosce che per molti la motivazione al rispetto della legge verrà trovata nella sanzione, ma, conclude “la possibilità della società politica dipende dal fatto che la maggioranza dei cittadini, o uno specifico numero di essi, siano disposti a compiere il loro dovere non appena lo scorgono, indipendentemente dalle sanzioni che il sovrano sia in grado di esercitare nei loro confronti”. Questa sarebbe dunque la risposta che Hobbes darebbe alla sua domanda: “se gli uomini non conoscono il loro dovere, che cosa potrà costringerli ad obbedire alle leggi? Un esercito direte. Ma cosa potrà costringere l’esercito?”.

*Specifico che vari termini che utilizzo (obbligazione, contratto, diritto, et similia) sono quelli utilizzati da Hobbes nelle sue opere, e non vanno intesi col significato che hanno nel linguaggio giuridico attuale.

Beniamino Peruzzi

Bibliografia:
Thomas Hobbes, De Cive, Bibliotheque, 2012
Thomas Hobbes, Leviatano, Bur Rizzoli, 2011
Howard Warrender, Il pensiero politico di Hobbes, Laterza, 1995

Immagine:
http://it.wahooart.com/Art.nsf/O/8XXNAB/$File/Andre-Derain-Golden-age.JPG

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