Vi ricordate quell’età in cui vi chiedevate il perché di ogni cosa ? Fare fisica, si sa, è come ritornare a quella fase, con l’intrigante aggiunta di doversi spesso rispondere da soli. Nessun bambino, però, potrebbe mai immaginare, nemmeno nelle sue fantasie più improbabili, che a tutte le sue domande vi sia un’unica risposta. I fisici si sono dovuti abituare a quest’idea da quando nel 1744 Maupertuis scoprì il “perché sì” supremo: il principio di minima azione. Questo riunì i principi di Newton e di Fermat (e successivamente anche molto altro) nel fatto che qualunque sistema in cui l’energia si conserva sceglie la traiettoria che rende minimo l’integrale detto azione
La matematica non deve spaventare, è la lingua madre dell’universo e fa la gentile concessione di poter scomporre qualunque oggetto complicato in tanti oggetti semplici da cui poter tirare fuori il concetto che vi si nasconde. La traiettoria (anche se preferisco chiamarla cammino) è una relazione logica che ad ogni (t) momento nel tempo abbina una (x) luogo nello spazio. Scegliere di passare per una stradina di montagna o per l’autostrada è un esempio di scelta fra due cammini così come scegliere fra andare in autostrada a 90 km/h o a 130 km/h visto che a tempi uguali sareste in luoghi diversi. Il concetto più interessante, quindi, è proprio l’importanza della scelta del cammino. Ogni cammino ha associata un valore di S e fra tutti i cammini che un oggetto può intraprendere l’universo sceglie quello che ha S più piccola possibile. Capiamo cos’è S adesso.
T è l’energia cinetica dell’oggetto, un numero positivo che ci indica quanto l’oggetto si sta muovendo. Solitamente, infatti, è proporzionale alla massa dell’oggetto per la sua velocità al quadrato. Per questo motivo conta la massa dell’oggetto, ma conta di più quanto sta andando veloce (si vede negli incidenti automobilistici). U è l’energia potenziale dell’oggetto, un altro numero che ci dice quanta energia cinetica è stata immagazzinata dal nostro corpo. Possiamo pensare a U come l’altezza da cui ci lanciamo per fare un tuffo. Maggiore è l’altezza, maggiore è l’impatto con l’acqua. Per raggiungere questa altezza, però, bisogna faticare, che in fisica corrisponde al perdere energia cinetica. T ed U sommate assieme corrispondono all’energia totale dell’oggetto, una quantità che, come detto all’inizio, si conserva . In ogni punto del cammino queste prendono un valore, quindi possiamo dire che dipendono dal cammino scelto.
Nell’espressione di S la differenza fra le due energie viene integrata nel tempo. L’integrale è solo un modo di moltiplicare T–U per l’intervallo di tempo preso in considerazione tenendo conto del fatto che T e U variano entrambe istante per istante. Somiglia molto al calcolo mentale che fate dopo essere andati a correre quando cercate di capire quanto avete percorso. Potete vantarvi quanto vi pare di aver corso a 15 km/h, ma se lo avete fatto per un secondo non siete andati molto lontano. Non conta soltanto quanto veloce avete corso ma anche per quanto tempo avete tenuto quella velocità. Sul principio di minima azione questo ci dice che conta per quanto tempo l’oggetto mantiene determinati valori delle due energie. Finalmente il nocciolo della questione. L’oggetto prenderà il cammino in cui T sarà più bassa possibile per il maggior tempo possibile, e siccome T+U non si modifica mai, questo sarà anche il cammino in cui U sarà più alta possibile per il maggior tempo possibile. In poche parole l’oggetto intraprende il cammino che gli consente di muoversi il meno possibile e di impiegare il movimento per potersi rallentare o fermare al più presto compatibilmente con la condizione in cui è all’inizio del periodo di tempo considerato.
Se volete trasporre questo concetto in una filosofia di vita sappiate che siete arrivati tardi.
In un interessante parallelismo studiare questo principio mi ha fatto tornare alla mente un concetto ormai in vendita nell’espositore dell’autogrill: il Wei Wuwei, o l’azione senza azione. Questo concetto è una delle idee fondanti del Taoismo, secondo il quale un uomo non dovrebbe avere degli obiettivi precisi nella vita, ma dovrebbe assecondare gli eventi ed agire il meno possibile. Per quanto possa essere comprensibile un punto di vista del genere penso che non debba essere preso troppo alla lettera, soprattutto da quelle persone che non riescono ad applicarsi abbastanza per raggiungere qualcosa o da quelli che addirittura non riescono a capire cosa fare della loro vita. Una persona può avere un obiettivo prefissato a patto che non offuschi la sua serendipità, cioè il poter apprezzare tutto ciò che incontra sul cammino e il poter cambiare l’obiettivo conseguentemente. Mantenendo la serendipità uno scopo fa sempre bene se siete da troppo tempo fermi nello stesso stato mentale o pervasi dalle stesse convinzioni. A differenza dell’universo per come lo conosciamo finora, infatti, noi possiamo provare ad alzare lo sguardo e vedere cosa altro c’è attorno oltre al comodo fondo della valle che stiamo percorrendo.
Comunque se non ci riuscite non biasimatevi. Non è colpa vostra, è l’universo in cui vivete che oltre ad essere elegante è anche un po’ pigro.
Leonardo Lucchesi
PS: Tornate a guardare l’immagine all’inizio, credo che adesso vi dirà qualcosa in più
Con amicizia letto da Arnaldo Mitola
Riferimenti
[1] Greene B. , The Elegant Universe: Superstrings, Hidden Dimensions, and the Quest for the Ultimate Theory,New York, W.W. Norton, 1999
[2] Goldstein H., Poole C., Safko J. , Meccanica Classica,Bologna, Zanichelli, 2005
[3] Lao Tzu, Tao Te Ching, Segrate, Oscar Mondadori, 2009
Immagine iniziale
Ottimo articolo con qualche spunto di riflessione carino (e apprezzabile l’inserimento del Goldstein nelle fonti).
Ma la matematica è davvero, come scrivi, la lingua madre dell’universo?