Luoghi

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Viviana seguiva quel ciondolare di braccia davanti a sé, cambiava andatura, si fermava bruscamente pur di rimanere alla giusta distanza, quattro passi esatti, una frazione di secondo. Non scollava gli occhi da quei capelli fini che ondeggiavano insieme al passo molleggiato, ai lembi del giubbetto stropicciato. Visto così sarebbe potuto essere chiunque, ma non per lei: Viviana avrebbe saputo riconoscere quell’incedere tra mille, quell’odore, quel profumo che non era cambiato dopo anni e anni. Affrettava il passo e malediceva le proprie gambe grassocce, un po’ sformate dall’avanzare inesorabile del tempo; certo anche per lui quelle settimane e quei mesi dovevano aver lasciato un segno. Forse era un poco dimagrito, si era sciupato: mangiava? La preoccupazione di ogni madre. Dove abitava adesso? Da quanto era tornato? Perché il padre di Pietro non l’aveva avvertita di questo ritorno?

Viviana seguiva il figlio nel sottopassaggio della stazione, tra la massa dei pendolari, teste arruffate, sguardi assenti, cuffie nelle orecchie o cellulari in mano, passi veloci oppure incerti. Si soffocava in quell’aria satura, in quel caldo appiccicaticcio e malsano, mentre refoli di vento freddo si insinuavano dalle scale che portavano ai binari. Dove vai, tesoro mio? Le scritte dei treni in partenza lampeggiavano minacciose e i ritardatari correvano, spintonavano e si scusavano; un ragazzotto di colore aiutava una turista a portare la valigia su per l’erta salita, ma forse stavano insieme, forse erano amici che si conoscevano da una vita, forse avevano ritardato perché non volevano separarsi e speravano il treno partisse senza di lei, forse partivano entrambi con una sola valigia. Al binario 3 il treno freccia bianca per Roma Termini era in ritardo di sessantacinque minuti; Pietro si fermò un secondo a contemplare l’apoteosi dell’inefficienza, data dalla combinazione dell’alta velocità in ritardo e del treno regionale per Arezzo soppresso al binario 4. Nessuno dei due era il suo. Dove vai, amore mio?

Viviana non riusciva a vederlo in faccia se non di sfuggita, vaghi frammenti, schegge della barba, della linea del naso aquilino, della fronte alta. Non osava avvicinarsi per paura di esser vista e non riconosciuta o ignorata, trapassata da quello sguardo duro che si chiude al mondo o che lo abbraccia e lo mangia con assoluta indifferenza. Quando era bambino, i suoi occhi erano diversi, privi di quella glaciale forza, di quel distacco posticcio che la vita gli aveva imposto. Viviana ricordava bene l’infanzia del figlio, un po’ frutto della sua effettiva memoria e un po’ immaginata e sognata, prodotto di ritagli e aggiustamenti. Adesso dove vai, Pietro mio? L’adulto con la falcata da ragazzo, la leggerezza nelle membra ancora giovani, i capelli troppo lunghi, che sguardo aveva ora? Non pareva avere alcuna fretta, si guardava intorno, girava la testa da una parte e dall’altra, forse cercando qualcuno. Un ragazzo sommerso da pacchi per il Natale sembrò andargli incontro, poi deviò la propria traiettoria e lo sorpassò; trotterellò affaticato accanto a Viviana, mentre la carta regalo frusciava, dolce promessa.

Un nuovo flusso di viaggiatori, pendolari, studenti o lavoratori, turisti, scese in gran fretta da una delle scale di destra, dal binario 7. Pietro parve inghiottito da quella marea improvvisa e Viviana temette di perderlo, ma eccolo subito rispuntare nella calca. La donna arrancò tra la gente, che le si chiudeva intorno come colla e sembrava volerla trascinare indietro, verso l’uscita, una corrente indistinta, una marcia di automi. Una ragazza biondiccia sbatté contro un giovane alto e riccioluto, mugolò qualcosa e si chinò a raccogliere la borsa. Pietro continuava ad avanzare. La stazione è quasi finita, dove ti fermi, figlio mio?

Pietro si arrestò di botto alle scale per il binario 9, controllò distrattamente lo schermo con l’indicazione del treno e salì i gradini, la testa alzata alla luce fredda di dicembre. Viviana rimase nel sottopassaggio, mentre la gente arrivata scemava e nuova ne veniva, correndo o passeggiando flemmatica. Doveva seguire Pietro? E poi? Cosa sarebbe accaduto sullo spazio aperto del binario, quando sarebbe emersa e non avrebbe avuto il tempo di nascondersi? Temeva si sarebbe esposta allo sguardo impietoso del figlio, senza la possibilità di alcun riparo. Il treno partiva tra due minuti. Viviana indugiò ancora qualche istante ai piedi della scala, poi decise che quella era l’occasione di rivedere il volto della persona che più aveva amato al mondo, ma che troppo dolore e incomprensioni avevano portato lontano da lei.

La donna salì i gradini con il capo chino, attenta a non scivolare e sperando che quella postura le avrebbe permesso un minino vantaggio nel non essere subito riconosciuta. L’aria fredda le schiaffeggiò il viso arrossato, ma Viviana non parve neppure accorgersene. Si guardò intorno e con una rapida occhiata vide Pietro, per fortuna ancora di spalle, in attesa sulla linea gialla; una gonna svolazzava dietro di lui. La ragazza aveva i capelli lunghi e ricci, castani, una grande faccia a forma di mela, un’espressione divertente e divertita, gli occhi grandi e azzurri brillavano dal freddo e dalla gioia. Viviana rimase imbambolata a guardare la donna che abitava la vita del figlio e si perse nel rimirare quel sorriso caldo, da bambina, e quelle piccole mani inguantate che gesticolavano concitate. Viviana non si era immaginata così la futura nuora, che non somigliava ad alcuna delle precedenti fidanzate del figlio; poco importava.

Un signore urtò la donna con la valigia e lei si riscosse, ci furono delle scuse e per un secondo Viviana si dimenticò della coppia che stava osservando. Quando tornò a dirigere lo sguardo verso i due giovani, incontrò i due occhi azzurri della ragazza, che la fissava con curiosità, poi si aprì in un grande sorriso. Sapeva, in qualche strano modo lei sapeva chi era Viviana, la riconosceva, l’accoglieva. Pietro si voltò lentamente, seguendo lo sguardo della fidanzata.

Rimasero a fissarsi per qualche secondo, madre e figlio, al binario 9 della stazione, con il treno in arrivo e l’altoparlante che gracchiava. C’era sorpresa in quegli occhi, tristezza e gioia, un po’ di durezza rimasta nel fondo, ma solo retaggio di un tempo passato. Le porte del vagone si aprirono davanti a Pietro, il quale si limitò ad inclinare la testa e fare un piccolo cenno con la mano. Non c’era tempo per altro. Il treno ingoiò entrambi e ripartì. Pietro, ora so dove vai.

Federica Avagnano

Con amicizia letto da Arnaldo Mitola

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