Ho notato nel corso dei miei ultimi studi che le maggiori differenze tra le scuole di psicoterapia si sviluppano dal presupposto di base che il comportamento sia prevalentemente determinato da un singolo aspetto della psicologia umana. Tali aspetti vengono chiamati appunto “determinanti” in quanto considerati i cardini di ogni comportamento, da cui è impossibile prescindere. Ogni scuola di psicoterapia ha lasciato il suo segno definendo e dividendo tali determinanti in modi differenti, ma la prima classificazione viene considerata tutt’oggi uno dei dilemmi fondamentali della psicologia contemporanea: il dibattito Nature-Norture. Tale dibattito consiste in due posizioni che sostengono la prevalenza di un determinante sull’altro tra fattore “innato” e fattore “costruito”. Per spiegare meglio, gli innatisti sostengono che il determinante principale del comportamento sia biologicamente ereditato, mentre i costruttivisti danno maggiore enfasi al fattore dell’esperienza come costruzione su di una tabula rasa. Intorno a questa preferenza nell’interpretazione dei comportamenti ci sono ulteriori suddivisioni minori. Per quanto riguarda i fattori innati troviamo: la genetica, l’istinto, il temperamento, i bisogni primari, l’ereditarietà e la costituzione biologica. Invece tra i fattori considerati più costruiti troviamo l’apprendimento, la cultura, l’esperienza e l’influenza sociale. Trovandomi in questo modo di fronte ad una tale varietà di determinanti diversi ed enfatizzati in diversi modi ho avuto la necessità pratica di fare una mia classificazione. Sperando che tale classificazione possa racchiudere efficacemente tutte le categorie minori di determinanti senza necessariamente ridurle ad un dualismo fraintendibile. La mia soluzione ha prodotto quattro determinanti fondamentali: l’eredità, la costituzione, l’esperienza e la socialità. Cercherò adesso di spiegare brevemente il perché, a mio parere, tale suddivisione sia esauriente e non riduttiva partendo dalla definizione di ogni classe. Il determinante ereditario è l’origine di tutti i comportamenti appunto ereditati in modo indipendente da ogni forma di esperienza successiva alla fase prenatale, come ad esempio i bisogni fondamentali, i riflessi o gli istinti. Il determinante costituzionale definisce l’inerzia alla percezione ed alla comprensione: in un certo senso possiamo dire che vediamo in un certo modo per la conformazione dell’occhio e comprendiamo in questo modo per la particolare configurazione neuronale che ci consente tali cognizioni. Il determinante esperienziale consiste in ogni apprendimento successivo o contemporaneo alla fase prenatale dovuto alla nostra capacità di assimilare e mantenere informazioni che a loro volta determineranno schemi e reazioni futuri, in questo senso ciò che abbiamo vissuto e pensato cambia il nostro modo di pensare e vivere. In un modo più sottile agisce invece il determinante sociale, che comprende la cultura e l’incidenza degli altri individui e gruppi nell’influenzare i comportamenti per via diretta o indiretta. Come si può notare da tali definizioni nessuno di questi quattro è riconducibile se non solo parzialmente all’altro, non sono ordinabili secondo una gerarchia assoluta e tutti sono presenti in una certa percentuale in ogni comportamento umano.
Il punto su cui vorrei soffermarmi è che tale percentuale di incidenza può cambiare e variare da individuo ad individuo; nessuna scuola di psicologia può definirsi obiettiva senza considerare tutti i determinanti come fattori che concorrono insieme al comportamento finale. Una tale visione integrata potrebbe favorire l’indagine del “tipo” di causa che maggiormente incide in ogni individuo a provocare patologie per poter eventualmente decidere in seguito quale sia la scuola di psicoterapia appropriata. Invece attualmente la persona affetta da una qualsiasi psicopatologia si rivolge ad uno psicologo senza sapere effettivamente in cosa consiste la sua scuola e quale determinante ha più enfasi nella sua terapia. Facciamo un esempio pratico.
Una persona che ha la fobia dei ragni, può ricondurla in modo più o meno marcato ad uno qualsiasi dei determinanti sopra elencati e molti psicologi potrebbero dare varie interpretazioni diverse. Uno psicologo umanistico tendenzialmente ne ricercherebbe la causa in un bisogno di sicurezza messo a rischio dalla visione pericolosa che la persona ha dei ragni. Uno psicanalista ne ricercherebbe le cause nei traumi vissuti dalla persona nel passato. Uno psicologo cognitivista ne cercherebbe lo schema mentale che porta la persona a categorizzare l’evento come qualcosa di pauroso o terrificante. Uno psicologo della scuola bioenergetica cercherebbe in quale muscolo del corpo è stata accumulata la tensione dello stress provocato dall’evento traumatico fissato nel proprio fisico. Lo psicologo specializzato in neuroscienze ricercherebbe la causa nelle disfunzioni chimiche cerebrali. Ovviamente queste interpretazioni sono stereotipi semplicistici e molto lontani dalla complessità in cui tali psicologi si dovrebbero districare per risolvere il problema, lungi da me sminuire il loro immenso lavoro. Sostengo solo che prima si dovrebbe cercare il determinante più probabile e solo successivamente indagare in modo sempre più mirato per trovare la terapia specificatamente più adatta al problema, a prescindere dalla convinzione radicata nella scuola psicologica di appartenenza. Questo potrebbe portare progressivamente a rimuovere la necessità di tanti dibattiti che affliggono la psicologia contemporanea come il dibattito Nature-Norture, la continuità o discontinuità dello sviluppo mentale o la discussione su quanta enfasi dare alle prime esperienze infantili nella formazione della personalità. Che necessità ci sarebbe di tali dibattiti se l’uomo accettasse le proprie diversità in questo senso, sulla diversa incidenza dei determinanti in ognuno? Anche se queste non saranno le categorie utilizzate in futuro spero che si trovi una soluzione al problema dei determinanti e che questi portino alla riduzione delle scuole di psicoterapia che nella loro pluralità hanno portato sia un grande progresso, ma anche una grande confusione, più che altro in una materia che troppo spesso è sottovalutata o sminuita nelle sue reali potenzialità o accostata ingiustamente al campo dell’opinione.
Andrea Piazzoli
Bibliografia
BANDURA A., Autoefficacia vol 1, Fabbri Publishing S.r.l., Milano, 2014
BANDURA A., Autoefficacia vol 2, Fabbri Publishing S.r.l., Milano, 2014
MASOLOW A. H., Motivazione e personalità, Fabbri Publishing S.r.l., Milano, , 2014
MYERS D. G., Psicologia sociale, Mc Graw-Hill Education, seconda edizione 2013
SANTROCK J. W., Psicologia dello sviluppo, Mc Graw-Hill Education, seconda edizione 2013
Immagine
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