È venerdì: tutte le case ebraiche profumano di cibi appetitosi, le stanze disordinate diventano sistemate e pulite, i membri della famiglia, nel corso della giornata, si danno il cambio nella doccia, diventando anch’essi puliti e profumati. C’è una tensione nell’aria, una tensione dovuta al tempo: bisogna fare tutto prima che inizi lo shabbat, il sabato ebraico. A una certa ora, corrispondente a quella del tramonto, le donne della famiglia accendono insieme le candele: è iniziato lo shabbat. Da questo momento in poi non si potranno fare una serie di cose, accomunate dal loro collegamento con l’idea di lavoro: non si può accendere o spengere la luce, suonare il campanello, utilizzare strumenti elettronici (cellulare, computer etc.), scrivere, strappare (che si tratti di un foglio o di un fiore), usare mezzi di trasporto (dalla bicicletta all’aereo), trasportare oggetti in un luogo aperto, senza limiti spaziali materiali, accendere il fuoco, cucinare etc.
Di sabato ci si riposa – si legge, si dorme, si studia la Torà, si fanno cose tranquillizzanti e piacevoli, staccandosi, per venticinque ore, dal caos, dal trambusto e la monotonia di tutti i giorni.
Il primo riferimento allo shabbat si trova nel primo capitolo della Genesi: “Dio vide che tutto quello che aveva fatto era molto buono. Fu sera e fu mattino, il sesto giorno. Il cielo e la terra e tutto il loro esercito erano ormai completi. Nel settimo giorno Dio aveva completato tutta la Sua opera che aveva fatto, così nel settimo giorno cessò da tutta la Sua opera che aveva compiuto. Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, poiché in esso aveva cessato da tutta la Sua opera che Egli stesso aveva creato per poi elaborarla” (Genesi 1, 31-2, 1-3). L’idea del sabato come giorno sacro è perciò collegata alla creazione del mondo, al patto tra l’uomo e la divinità, ed è quindi un’idea positiva – ecco che troviamo la positività della vita, illuminata dal lume delle candele del venerdì, pulita, profumata, pura.
Dopo aver acceso le candele si scende in sinagoga, dove si recita la preghiera del venerdì sera, in cui in una delle parti più importanti si dice: “Vieni, o mio caro, incontro alla sposa, accogliamo il sabato*. Incontro al sabato su, andiamo, perché essa è la fonte di benedizione; dall’inizio, dalle origini essa è stata eletta, fu alla fine dell’azione, ma nel pensiero ne era il principio, vieni o mio caro accogliamo il sabato, Vieni in pace o corona del tuo sposo, con allegria, con canto e con giubilo, in mezzo ai fedeli del popolo tesoro vieni, o sposa, vieni, o sposa”. Si torna a casa, dove si trovano le candele accese ed il tavolo già apparecchiato; si canta una melodia in onore degli angeli che, secondo un midrash antico, ci accompagnano il venerdì sera dalla sinagoga alla nostra casa; il padre dà poi una benedizione ai figli, con le stesse parole usate da Giacobbe quando benedice nella Bibbia i figli di Giuseppe, Menasé ed Efraim. Dopodiché si recita la benedizione del sabato, dopo la quale si beve il vino, seguita da una benedizione sul pane e da una cena. Tra un piatto e l’altro, o prima della preghiera della fine del pasto, si cantano poesie in onore del sabato.
Il sabato mattina si va in sinagoga, dove si legge il brano biblico della settimana (chiamato parashà), secondo la divisione del Pentateuco in 52-54 brani, e un capitolo di uno dei profeti. Segue una preghiera per lo shabbat, dopo la quale c’è un rinfresco in sede separata dalla sinagoga, e un pranzo abbondante a casa. Verso la fine del sabato, prima del tramonto, si recita in sinagoga la preghiera quotidiana del pomeriggio e della sera, e lo shabbat si conclude quando ci sono tre stelle nel cielo – si recita allora una benedizione sulla divisione tra i giorni lavorativi della settimana ed il sabato.
Ma qual è il significato di tutto questo? Quello più importante, ed anche il primo proposto dal testo biblico, è il significato del segno, il “segno della struttura della stessa creazione”: possiamo, infatti, trovare nel sabato un obiettivo verso il quale dirigerci, un qualche cosa che dà una direzione al resto della settimana, un giorno in cui si smette di fare, di agire, di creare, dando maggiore importanza invece alla riflessione, alla consapevolezza di ciò che ci circonda, come se, fermandosi, ci si potesse trovare in una dimensione differente, forse più reale, dalla quale contemplare il mondo, essere in armonia, osservare – “E Dio vide tutto quello che ha fatto e fu molto buono”.
Abraham Joshua Heschel, ne Il sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, parla dello shabbat come un giorno in cui si può celebrare il tempo piuttosto che lo spazio; dopo sei giorni in cui viviamo sotto la tirannia delle cose nello spazio, di sabato osserviamo ciò che è eterno e sacro nel tempo, guardiamo il mistero della creazione piuttosto che il risultato della creazione.
Lo shabbat ci ricorda, perciò, il valore del tempo, dell’esistenza del mondo all’interno di un tempo determinato. Esso può anche essere collegato all’esistenza di un santuario: l’idea di un Dio che risiede nel tempio, e perciò in una dimensione fisico-spaziale, tramite i sacrifici offerti dal popolo e la presenza in esso anche del popolo, e allo stesso tempo nel giorno del sabato, tramite il richiamo del popolo con il riposo.
“L’uomo costruisce il sabato, dedicato al signore, attraverso l’uso delle sue energie dedicate tutte all’interiorità, al tempio interno presente nella sua mente e la sua anima, ed invita il Signore a trovare dimora dentro di lui. Il sabato diventa la più grande dimora che l’uomo stesso ha potuto edificare per chiamare la presenza divina in questo mondo”. (Joseph Levi, La celebrazione del sabato nella tradizione ebraica)
L’interruzione del lavoro, il fermarsi e trovarsi in una dimensione diversa, porta l’uomo a guardare più profondamente dentro di sé e cambiare, per venticinque ore, punto di vista rispetto al mondo – “There is a realm of time where the goal is not to have but to be, not to own but to give, not to control but to share, not to subdue but to be in accord. Life goes wrong when the control of space, the acquisition of things of space, becomes our sole concern.” (Heschel, Il sabato. Il suo significato per l’uomo moderno)
Concludo con Heine, che scrisse una poesia sul cantore della sinagoga, un “peloso orrendo mostro” che il venerdì sera diventa un Re-uomo, trascinato da shabbat, dalla Principessa shabbat, che elogia:
“Perla e fiore di bellezza
ella appare, né più bella
fu di Saba la Sovrana,
prediletta a Salomone,
quell’etiope saccente
che, per far la spiritosa,
con i suoi sottili enigmi
annoiava a lungo andare.
Questa nostra Principessa
ch’è la personificata
pace, aborre da contrasti
dello spirito o contese.
Le dà noia la sonora
e retorica passione
che prorompe scalpitando
con la chioma scarmigliata.
Le sue trecce ne la cuffia
tien pudica la Silente;
mite sguardo di gazzella,
snella come un mirto in fiore”.
(H. Heine, La principessa Shabbat)
Tamar Levi
* Shabbat è un sostantivo femminile
Bibliografia
Joseph LeviLa celebrazione del sabato nella tradizione ebraica, ne Il giorno del Signore a cura di Salvatore Palese, Edizioni Vivere In
Bibliografia online
http://www.shabbat.it/la-principessa-shabbath#more-1121
http://lylemook.com/2008/10/12/heschel-sabbath-quotes/
http://media-cache-ec0.pinimg.com/236x/f8/8d/b5/f88db5b11b2dc1f14c9ea96a72546bc2.jpg
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