Serendipità dal passato – L’era dove tutto è noto e torna a vantaggio

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Il mito delle grandi esplorazioni: se, fra un Verne ed un Salgari, credete che là scopersero le fonti del Nilo, invertite rotta. Basterà la via Prenestina e ringiovanire di duemila anni, II secolo a.C.. Dal centro di Roma al centro di Palestrina, l’antica Preneste.

Il museo archeologico è interessante per il solo fatto di ricalcare, con precisione geometrica, l’acme del santuario alla Fortuna Primigenia. Meta di pellegrinaggio che, a maestosi terrazzamenti, occupava l’intero colle. Sul punto più alto di quella acropoli, in vetta al palazzo, il visitatore muta in protagonista e vedetta di una limpida Isola-che-non-c’è. Già, come nella terra di Serendip, nome atavico dello Sri Lanka; colà, narra Walpole, mille erano le volte che, cercando tutt’altro, si sarebbero fatte scoperte inattese e felici. Così anche il rimirante. Giunto difatti al fine dell’ultimo scalone, due sono le cose che si aspetterebbe: l’uscita e la toilette. Invece ecco l’improvviso.

Una vera istantanea del tempo, che a volo d’uccello risale dal delta del Nilo sino all’hic sunt leones della Nubia corvina; gli entroterra sconosciuti cioè dove ai romani, per sbrigarsela con poco, bastava sentire di bestiacce feroci, più rogne che altro. Date un’occhiata: il leone c’è sul serio. L’eterno discrimine del mondo è proprio al centro, altezza naso. Il re della savana troneggia sulla sua roccetta, giusto al confine fra le attività umane e quelle ferine. Ma qui l’ingenuo proverbio tradotto in colore supera sé con un balzo; poiché, seguendo col dito il serpente dell’acqua, noi voliamo con le migrazioni autunnali delle rondini, che dall’Europa tornano ai nidi d’Africa. E al vertice della prospettiva, in mezzo a belve moltiplicatesi e uomini semi-arborei, il giardino segreto, il sogno di ogni giramondo del XIX secolo: le sorgenti del fiume. Ogni bestia esiste, ha il suo nome. Ognuna il suo verso, la sua quinta teatrale.
Dopo le anatre, il pitone, il dromedario, facoceri, scimmie linci giraffe rinoceronti e un vago dinosauro, riscendiamo adesso come in zattera verso il mondo civile. Assistiamo, nell’altra metà, alla fervenza concreta di quell’Alessandria. La Grande Mela in avanti Cristo. La serie di quadretti giustapposti dà campo a tutti gli interessi: si contratta e commercia, si caccia e pesca, si prega e sacrifica, e finalmente ci si riposa sotto un bel vigneto. Animali sono presenti anche da queste parti beninteso; ma di un tipo che, mentre oggi si vedrebbe al massimo in safari, era tanto familiare da esser oggetto di culto: ibis, ippopotami, coccodrilli, buoi lunghe corna.

Tirando le somme, si tratta di una fra le prime Enciclopedie, gallerie d’Arte, conquiste fanta-geografiche e la prima esposizione fotografica in assoluto. A Linneo, Diderot, al capitano Nemo ed ai fratelli Alinari possiamo dirla in una parola: si tratta di Ellenismo.

Il mosaico di Palestrina, nella sua foschia nilotica, è un manifesto culturale. Racconta uno spazio globale, che non teme più le acque e le migrazioni. Il sincretismo politico–religioso è ormai pacifico, in un universo che esporta se stesso con ferro, fuoco e con la concorrenza fra biblioteche. Guerre, spionaggi e globalità maturano l’uomo all’esasperazione del proprio io. Dunque la reazione, l’esasperato già secolare taglio identitario verso l’alterità; come notavamo, l’invisibile linea culturale tra città ed oltre desolato è visibile assai. Però l’alterità è altrettanto comunitaria, ove l’io diviene privato, la sfera domestica più intima e inviolabile alla società. Di qui, la fuga verso un mondo favoloso, provato ma eroico, ebbro ma apollineo. Il piacere e la fatica quotidiani sono resi con realismo minuzioso, pure quasi sfumato. Uno stile compendiario, che ormai trasforma la necessità miniaturistica in virtù programmatica: pochi tratti rapidi perché le figure sono piccole, e perché dal loro affanno si spera agilmente di evadere.
Non stiamo sfogliando la principale testata nazionale, no. Stiamo innocentemente guardando velieri egei e giunche africane, palazzi egizi a due passi da tempietti alla greca. Soldati elleni che sacrificano all’Iside dei faraoni. Il riparo fiorito di chi festeggia il proprio non-compleanno; l’elefantiasi della didascalia. Per non parlare dell’idioma; ogni scenetta è un fumetto. I faraoni millenari di cui sopra, sono nuovi e parlano la lingua di Atene. Entro queste città prima barbare che, dopo il passaggio del cosmopolita Alessandro Magno, diventeranno pòleis e poi civitates, si gira dal dialetto locale al bilinguismo internazionale: impasti di egizio, greco satiresco e in ultimo di latino catulliano.

Il senno di poi, pettinando le bambole, forse tira un po’troppo i capelli. Ma se pensassimo che il manuale d’approdo all’oggi fu scritto, anzi scattato, a Preneste? Consultatelo.

Ferruccio Botto

Arte alessandrina-italica, Mosaico nilotico, c. II sec. a.C., Palestrina Museo archeologico prenestino, palazzo Colonna Barberini. Dettaglio di soldati sacrificanti, palazzo egizio, veliero, giunche, triremi, pesca, processione

Bibliografia:
G.Bejor, M.Castoldi, C.Lamburgo, Arte Greca, Milano, Mondadori Università ed., 2013
Enciclopedia Treccani

Immagine:

http://www.museumgrandtour.org/it/notizie/2012/05/

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