In Platone è già visibile una teoria categoriale, la quale tuttavia sarebbe stata in larga parte incompatibile con quella che sarà invece propria di Aristotele (solo Porfirio, al termine d’un lungo processo avviatosi in età ellenistica, opererà la crasi definitiva tra di esse, consegnandole unite alla tradizione occidentale successiva). Prima di giungere a parlarne tuttavia è necessario introdurre brevemente il pensiero di Platone, nella misura in cui ciò sarà utile al ramo principale della questione in esame.
La riflessione di Platone sul problema degli universali prende le mosse dalla domanda socratica “che cos’è?”. L’uso di questa espressione è particolarmente ricorrente nei dialoghi giovanili di Platone, generalmente aporetici, in cui vediamo Socrate discutere su determinati valori con esponenti di punta tanto della cultura tradizionale quanto della nuova cultura sofistica; lo scopo della domanda è di far interrogare gli interlocutori sui concetti di cui vanno discutendo, per mettere in luce come essi abbiano fino ad allora sempre mancato di farlo, servendosi così d’una conoscenza tutta basata sull’opinione, sulla tradizione o su paralogismi, dunque né scientificamente fondata né dimostrabile (come reso evidente dal fatto che, incalzati da Socrate, gli interlocutori si rivelano incapaci di sostenere le proprie tesi). Da questi dialoghi sembra emergere chiaramente il problema della definizione, dal momento che Socrate confuta tutte quelle proposte da coloro con cui discute, ma non è in grado di fornirne a sua volta una risolutiva (in questo caso il celeberrimo “So di non sapere” socratico sarebbe senz’altro da interpretare come rifiuto o incapacità di produrre personalmente un sapere positivo, ricollegandolo al tema della maieutica); è qui che si innesta il progetto di Platone di costruire un sapere positivo, ed è qui che nasce la prima teoria delle idee, ovvero universali forniti di consistenza ontologica, aventi un’esistenza separata e trascendente rispetto al mondo materiale. Platone tuttavia non le considera conoscibili direttamente (al contrario di quanto, almeno apparentemente, sostenuto in molti manuali di storia della filosofia, rifiuta l’esistenza dell’intuizione intellettuale), e dunque neppure studiabili e definibili in maniera conclusiva ed esaustiva: come possono allora aggiungere qualcosa di fondamentale alla ricerca della conoscenza? Eppure anche solo postulandone l’esistenza si aprono nuove possibilità: questo perché le idee, come referenti universali reali e di per sé univoci, costituiscono la garanzia di una oggettività dei discorsi, di un sapere obiettivo cui tendere; afferma infatti Platone che se gli universali non fossero che parole determinate dalla convenzione o dall’opinione soggettiva non sarebbe affatto possibile utilizzarli nei discorsi e riuscire a comprendersi, il che invece avviene: allora l’esistenza degli universali dev’essere necessaria.
Inoltre, quanto affermato sopra non implica che delle idee non si dia alcuna conoscenza: possiamo averne conoscenza relazionale studiando i rapporti che esse intrattengono l’una con l’altra attraverso l’esercizio della dialettica, e ciò sarà ampiamente approfondito nei dialoghi dialettici, scritti in tarda età, ma il principale accesso alla conoscenza delle idee nei dialoghi della giovinezza e della maturità è fornito dalla dottrina della reminiscenza (ἀνάμνησις; essa è completata, non sostituita, dalla dialettica, benché non di rado sia detto il contrario), che a sua volta fornisce garanzia che una conoscenza diretta delle idee sia avvenuta, prima dell’incarnazione nell’attuale vita, e che sia dunque possibile recuperarla col ricordo e utilizzarla come base oggettiva dei discorsi, sebbene questo comporti, come detto, l’abbandono d’una pretesa di conoscenza esaustiva e immediata (essendo per forza di cose mediata dalla memoria ed incompleta); si noti inoltre che mentre per Aristotele la metafisica non è necessaria nel processo di conoscenza della realtà ma come fondazione data una volta per tutte, per Platone essa deve mantenersi garanzia e compagna costante dell’indagine filosofica (di qui il rischio insito in tutte le riduzioni non metafisiche, ad esempio psicologistiche, del pensiero platonico).
La questione categoriale viene ad essere importante in Platone parallelamente allo sviluppo della dialettica. Citata senza particolari approfondimenti nella Repubblica, definita nel Fedro (i quali pure non sono dialoghi dialettici) come “attività di analisi e sintesi”, passata sotto silenzio ma implicitamente suggerita nel Teeteto, ben presente nel Parmenide, essa è centrale nel Sofista; in questo dialogo infatti prendendo le mosse dal problema di definire il sofista si giunge al dibattito ontologico sul non-essere e si compie il celebre “parricidio” di Parmenide, dal momento che la soluzione del dialogo avviene con la distinzione tra un non-essere come predicato esistenziale negativo, potremmo dire “assoluto”, e un non-essere come predicato di alterità, di essere altro (ma comunque determinato) rispetto ad un essere determinato, e che potremmo dunque dire “relativo”. Il Sofista è tuttavia anche il dialogo in cui si formulano i cinque generi sommi (essere, identico, diverso, moto, quiete), la prima categorizzazione esplicita della realtà presente in Platone e nella storia della filosofia occidentale.
Bernardo Paci
Bibliografia:
F. Adorno, Introduzione a Platone, Ed. Laterza, Roma-Bari 1978.
F. Trabattoni, Platone, Carocci Ed., Roma 2010.
Platone, Sofista in Platone, Dialoghi filosofici (vol. II) Ed. Classici UTET, Torino 1970.