Mente e cervello – Il riduzionismo delle neuroscienze

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Quante volte la scienza ha cercato risposte concrete sul sottile limite che separa la psicologia dalla filosofia. Quello che vorrei chiarire con questo articolo è proprio il dibattito più attuale su questo tema, partendo dalla sua origine.

In passato il positivismo ha cercato di spiegare e determinare ogni fenomeno in termini di materia, eppure tre grandi scoperte lo hanno fatto cadere come accade con un castello di carte: il principio di indeterminazione di Heisenberg, il relativismo e la scoperta dell’inconscio. Attualmente, in psicologia, si è riportato a galla un quesito su quest’ultimo punto, grazie all’avanzare del campo delle neuroscienze, che studia i collegamenti tra fenomeni biologici e comportamento. Tali collegamenti tornano a mettere in crisi il concetto di inconscio, considerato come qualcosa che esula dal contenuto del nostro cervello, per riportarlo ad una dimensione biologica. Non è forse riduttivo ricondurre un oceano irrazionale e caotico di contenuti simbolici ad una mera attivazione di impulsi nervosi non coscienti? Prima di porci questo problema sul riduzionismo imposto dalle neuroscienze sulla mente è necessario definire con accuratezza due termini utilizzati con accezioni differenti.

Nel senso comune è molto probabile che il significato attribuito a questa parola sia spesso frainteso, ma per “mente” si intende tutte le funzioni superiori del cervello, ad esempio: il pensiero, la memoria, la percezione, la sensazione, la volontà ed il linguaggio. Questo concetto si distacca dalla “psiche” che comprende tutte le funzioni finora non attribuibili al cervello, quindi di matrice pressappoco sconosciuta o non materiale come: la coscienza, l’intuizione ed alcune forme di immaginazione. Il nodo attorno a cui ruota il dibattito in cui ci stiamo inoltrando è proprio uno dei fini delle neuroscienze: il cervello può essere la spiegazione di ogni fenomeno intellettivo negando definitivamente la psiche?

Fino ad ora questa materia non ha deluso nel districare dubbi che la psicologia non era riuscita a risolvere in molti anni di studio, eppure mancano ancora molti punti non compresi su tali funzioni superiori. Purtroppo la psicologia si è rivelata tardivamente come scienza per la sua difficoltà di indagine. Non è facile essere osservatore e contemporaneamente oggetto d’osservazione, poiché siamo sottoposti agli stessi limiti ed errori. Per anni sono proliferate molte scuole di psicologia con basi fattuali che portavano a costruzioni teoriche idealistiche, con un basso contatto con la realtà. Le neuroscienze, in questo senso, sono riuscite a spiegare come e dove avvengono i nostri processi mentali ed hanno tracciato linee sicure dei tempi e delle modalità in cui queste possono avvenire. Il loro compito, infatti, è di collegare avvenimenti biologici ai comportamenti. Ecco che compare il primo arduo limite di questa materia: adesso sappiamo con sufficiente approssimazione come e dove, ma per quale motivo avvengono? Quale relazione c’è tra reazione chimica/fisica nel cervello ed effettiva esperienza individuale? I collegamenti fatti sono di causa-effetto o sono solo correlazionali? Sono solo i primi dubbi che attualmente attanagliano i punti di incontro tra due materie che lottano per ottenere più spazio nella spiegazione di tali fenomeni.

La psicologia è spesso sottoposta a questa pluralità di punti di vista che riescono a spiegare la stessa cosa con due teorie opposte ed inconciliabili ma ugualmente valide, questo aspetto è giudicato talvolta come un punto di forza oppure come inammissibile debolezza. Come diceva Brentano “vi sono molte psicologie, ma non vi è un’unica psicologia”: la nascita della psicologia come scienza ha posto dubbi e quesiti sulle basi metodologiche della scienza stessa. Questo dibattito si estende alla stessa epistemologia nel cercare di ampliare o ridurre la validità del metodo scientifico ad aspetti più o meno certi, materialistici o idealistici. Lo stesso Piaget sosteneva che la psicologia doveva essere una semplice esposizione di fatti slegati da qualsiasi costruzione teorica per essere ritenuti scienza effettiva, eppure lui stesso ha formulato una teoria nel collegare l’enorme mole di studi effettuati sui bambini contraddicendosi. Ha esposto in maniera sistematica cercando di evitare i preconcetti del sistema logico ma, come lo critica Vigotskij, è impossibile limitarsi all’analisi dei fatti eludendo la filosofia dei fatti. L’assenza della filosofia è una filosofia ben precisa.

In questo dibattito, proiettato fino ai giorni nostri e trasportato ancora una volta al riduzionismo, la posizione più radicalmente empirica vuole che “ogni tipo di fenomeno che non si riesce ancora ad integrare nelle neuroscienze è solo per una mancata conoscenza che si comprenderà con il tempo”, l’altra posizione, più critica nei confronti del metodo utilizzato dalla scienza sostiene che “non è possibile comprendere scientificamente qualcosa che è soggetto a variabili incontrollabili e costrutti inosservabili, pertanto c’è bisogno di metodi diversi di indagine”. Quindi se la prima posizione nega l’esistenza di qualcosa al di fuori del cervello che agisce su di noi, la seconda lascia spazio a qualcosa di indagabile in modi differenti dalla scienza comune. In questo senso le neuroscienze riducono e negano lo spazio dato alla creatività ed all’intuizione, spiegandole come processi meccanici e chimici, semplici conseguenze di meccanismi che agiscono al di fuori della consapevolezza. È davvero così, oppure ci sono altri fattori interiori che alimentano la bellezza artistica, il libero arbitrio ed altri temi che tanto stanno a cuore a molti filosofi? Tutto questo cambia nel significato che si attribuisce alla fonte che genera le funzioni intellettive, quanto è importante per noi che su qualche livello ci sia una componente immateriale? Il nostro pensiero è il diretto risultato dello scambio di materiale ionico tra neuroni ed ambiente esterno o questo stesso scambio è il risultato delle direttive dell’anima? Cercare soluzioni a questo dibattito per ora è solo ipotizzabile ma ancora niente è dimostrabile. Le implicazioni di una effettiva soluzione sarebbero di enorme impatto sullo stile di vita e le credenze di molte persone, come reagirebbe il mondo ad una effettiva negazione o affermazione della possibilità di esistenza della psiche?

È probabile che un giorno la scienza riesca a dare una risposta definitiva a questo dualismo di opinioni che mette in dubbio un concetto di anima che ci accompagna sin dagli albori della storia umana su questo pianeta. La mia personalissima opinione, indipendentemente dai fatti sopracitati, è orientata verso l’esistenza di una componente approssimabile alla psiche che regola ed utilizza il cervello come strumento di mediazione, riassumibile quindi in un sistema su tre piani: psiche, cervello e corpo. È altrimenti incomprensibile che la cognizione e la coscienza possano essere ridotti ad un mero scambio di sodio e potassio tra l’interno e l’esterno di un neurone. Quando immaginiamo, siamo soggetti a percepire immagini vivide, eppure non esiste una vera e propria rappresentazione completa della stessa nel cervello, l’ipnosi e gli stati alterati di coscienza portano ad avere risultati strabilianti sul nostro corpo, come spiegare questi fenomeni se non con l’introduzione di un’altra variabile? Forse un giorno le neuroscienze arriveranno al loro limite estremo e sarà confermata questa variabile non materiale, oppure spiegheranno ogni fenomeno negandola definitivamente.

 

Andrea Piazzoli

 

Bibliografia:
Eric R. Kandel, James Schwartz, Thomas M. Jessell, Fondamenti delle neuroscienze e del comportamento, CEA, Milano, 1999.
Jean Piaget, Il linguaggio e il pensiero del fanciullo, Giunti, Firenze, 1962.
Lev Vygotskij, Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, Laterza, Roma-Bari, 2007.

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