La base dell’estetica nel secondo Wittgenstein – Il sehen als

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“Ad un certo punto si è iniziato a vedere le donne come le dipingeva Matisse”, Marleau-Ponty.

In Zettel, una raccolta di proposizioni scritte dopo gli anni ’30, Wittgesntein scrive: “Il concetto del rappresentare (vorstellen) è piuttosto simile nella sua interpretazione al concetto di un fare che non a quello di un ricevere”. Quando noi vediamo qualcosa non ci limitiamo ad un rappresentare come ricevere, ovvero al rappresentare passivo empiristico ma “il rappresentare si potrebbe chiamare un atto creatore”. C’è infatti un elemento attivo nel rappresentare, il vedere diventa creare il vedere, ovvero il vedere non è ricezione passiva della cosa, e nemmeno conoscenza dell’essenza, ma una comprensione della forma. La forma è intesa come aspetto (Aspekt) e, usando le parole di Wittgenstein “si mostra, emerge”.

Nel complesso paragrafo XI della seconda parte delle Ricerche Filosofiche, Wittgenstein invita proprio a non pensare che il vedere si riduca all’esperienza percettiva, all’esperienza visivo-oculare. La visione è visione di insieme (uebersicht), connessa alla visione dell’Aspekt, ovvero la visione è sempre un sehen als, un “vedere come” una certa forma. L’immagine per Wittgenstein è struttura, organizzazione, composizione, come la fisionomia di un volto: quando guardo un volto vedo il volto, la forma, non un insieme di dettagli, mettiamo due occhi, una bocca, un naso, e, nuovo esempio, se mi fisso su un occhio azzurro, non vedo un cerchio nero circondato da un cerchio azzurro immerso in una forma ellissoidale bianca, ma vedo un occhio. Nei volti, come negli altri oggetti, ci sono relazioni compositive tra i diversi elementi, nessun elemento è un dettaglio, tutti sono relativi a tutti gli altri a vicenda: si parla di nozione compositiva di immagine. L’immagine, da questo punto di vista, è un potente strumento conoscitivo in quanto è relazionale, complessiva e sinottica. “Osservo un volto e improvvisamente noto la sua somiglianza con un altro. Vedo che non è cambiato, tuttavia lo vedo in modo diverso”: quante volte ci capita di vedere un volto, improvvisamente collegarlo a un altro, per esempio vediamo il volto di una donna e lo colleghiamo a quello della nostra prima ragazza; ci accorgiamo in questo caso che per noi questo volto, cui magari inizialmente non avevamo fatto caso, diventa importante, iniziamo a guardarlo e, nell’ottica di Wittgenstein, a vederlo in senso proprio, poiché, dalla comparazione di questo volto con quell’altro, emerge la fisionomia, la forma (per ben comprendere il ragionamento cfr. articolo Il pensiero del secondo Wittgenstein). Quello che emerge non è la proprietà dell’oggetto, ma la relazione interna di questo oggetto ad altri oggetti, quindi quello che io vedo non è un volto particolare, ma la relazione di questo volto ad altri volti.

Il sehen als di Wittgenstein è spiegato anche da Merleau-Ponty, il quale oppone il “vedere questo” (voir ceci), al “vedere secondo” (voir selon). Il “vedere questo” è il vedere che astrattamente presuppone un rapporto frontale tra il soggetto e l’oggetto della visione, quello che chiama “vedere fisico-ottico”, ma che noi nella pratica non esperiamo, poiché diamo sempre una forma alla nostra visione, vediamo sempre “secondo”, in base alla nostra esperienza nel mondo e quindi vediamo intorno a noi libri, computer, parole, oggetti: tutte forme che componiamo grazie alla nostra familiarità con questi enti. Merleau-Ponty fa a questo riguardo affascinanti esempi presi dall’arte, parlando ad esempio delle donne di Matisse: ad un certo punto, dice, si è incominciato a vedere le donne come le dipingeva Matisse.

Importante è comprendere che questo sehen als non è qualcosa che si aggiunge ad un altro tipo di visione, ovvero, ribadiamo, non vi è un rapporto frontale con l’oggetto, un puro ricevere, e poi una composizione della forma, ma essa si vede “immediatamente e direttamente”. Il sehen als dunque non è un’interpretazione indiretta, ovvero un’interpretazione di una pura percezione, perché esso è uno stato esperienziale del soggetto, mentre l’interpretare è un’attività cognitiva, la formulazione di un’ipotesi che potrebbe rivelarsi falsa. Il paragrafo XI continua poi con un celebre esempio: la figura bistabile di Jastrow della lepre-anatra. La duplice visione di queste figure è chiamata dagli psicologi Gestalt switch. Wittgenstein introduce questo esempio proprio perché le figure bistabili ci fanno astrattamente pensare che ci sia una percezione neutra e poi un’interpretazione, ma, come abbiamo detto, si vede sempre secondo una forma, secondo un significato, e così dimostrano anche tali figure. Quando si vede l’anatra (o la lepre), infatti, non si sta interpretando, si sta vedendo in modo organizzato. Nessuno vede questa figura senza vedere qualcosa, senza vederla come (al limite vede delle linee e compone figure astratte nella sua mente, ma sempre relazionandole ad altre figure e componendole come forme). Se facciamo vedere a qualcuno la figura bistabile chiedendogli cosa vede egli non risponde: “la vedo come una lepre”, ma descrive la percezione, altrimenti si tratta di un’affermazione innaturale. Se, dopo aver fatto vedere una figura, mettiamo la lepre-anatra, si chiede a una persona di fare una copia di quello che vede la persona disegna ciò che ha percepito, l’esperienza vissuta, per esempio disegna una bella anatra. La copia tuttavia non è un altro oggetto ma la particolare organizzazione vista da una persona. Wittgenstein afferma che: “il balenare improvviso dell’aspetto (formula molto funzionale per affermare l’immediatezza della percezione della forma) ci appare metà come un’esperienza vissuta, metà come un pensiero”, ovvero c’è un elemento pratico nel modo con cui percepiamo delle forme. Una parola scritta al contrario, ad esempio, non riusciamo a leggerla, perché nella parola scritta correttamente c’è la mediazione di una pratica, e infatti sono centrali l’abitudine e l’educazione (ciò vale anche nell’esempio che fa Wittgenstein riguardo all’arte: “uno stile pittorico può comunicare qualcosa o niente affatto a seconda delle persone”).

Il “balenare dell’aspetto” è un tema ripreso da Merleau-Ponty, che lo definisce un emergere, un evento (avènement). Egli sostiene che in primo luogo è generata sorpresa data dall’emergere dell’aspetto, ma poi ci si abitua alla forma e la sorpresa svanisce (così anche alla somiglianza tra due volti ci si abitua e si smette di farvi caso e si riuniscono i due oggetti a un’unica forma). È sottolineato che la somiglianza non è nelle proprietà fisiche dell’oggetto, ma nel riconoscimento della forma, nella capacità di veder emergere una forma. Wittgenstein parla del sehen als come di un pensiero che possiamo definire metaforico, poiché consiste nel mettere in relazione e vedere analogie. Il sehen als è una capacità, cioè la capacità di vedere qualcosa come qualcos’altro, di far emergere la forma su uno sfondo di somiglianze e differenze (cfr. paragrafo 130, Ricerche filosofiche, e articolo Il pensiero del secondo Wittgenstein), vedere le cose in un insieme di relazioni, e questa capacità la possediamo anche in base alla nostra esperienza. Wittgenstein propone l’esempio di un popolo che non conosce la fotografia e che, vedendo per la prima volta una foto in bianco e nero di una donna, non vede l’immagine di una donna, ma, non conoscendo il gioco della fotografia vede un mostro pallido piatto e disumano. Vorrei proporre un altro esempio molto più concreto tratto da un libro scritto da Oliver Sacks, famoso neurologo e scrittore inglese dal titolo L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (che consiglio vivamente), in cui Sacks racconta dei casi più strani che gli sono capitati nella sua esperienza di neurologo. Il caso da cui prende il titolo il suo libro, ovvero il caso dell’“uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, racconta esattamente di un uomo privo, o, per meglio dire, con una grave defezione della facoltà visiva del sehen als: quest’uomo, incapace di comporre in forme le immagini che vedeva, a meno che non avessero dettagli evidenti (per esempio riusciva a comprendere le caricature) e che restassero fermi, poiché come gli oggetti si muovevano egli li perdeva, non riuscendo a ricomporli in forme. Questo lo portava ad assumere comportamenti strani, tra l’altro quello di cercare di mettersi in capo la testa di sua moglie, scambiandola per un cappello. Consiglio vivamente la lettura almeno di questo capitolo, che sarà più esauriente di questo mio tentativo di riassunto e darà un’idea pratica del sehen als.

Se il sehen als è senza dubbio una capacità visiva è però anche una capacità linguistica: allo stesso modo in cui appare la forma di un oggetto, anche nel linguaggio appare la forma del gioco linguistico (cfr. articolo Il pensiero del secondo Wittgenstein). Una persona che non riuscisse a cogliere la fisionomia del particolare gioco linguistico che si sta giocando tra parlanti non riuscirebbe a comprendere la conversazione (questo è il motivo per cui per conoscere una lingua non basta conoscere il significato primario, ostensivo, di ogni parola, ma bisogna esercitarsi nella pratica dei vari giochi linguistici). Questa persona interverrebbe dunque a sproposito o comunque non seguirebbe la discussione, non comprendendo quello che Wittgenstein chiama “il significato contestuale delle parole”. Nell’esempio di Wittgenstein di una persona assolutamente priva del sehen als in senso linguistico è spiegato come essa non riuscirebbe nemmeno ad usare “da” come preposizione e “dà” come verbo: la sua lingua sarebbe semplicemente una nomenclatura, una lingua fatta di nomi propri, di etichette per cose e non sarebbe funzionale nella pratica.

Il sehen als è poi da Wittgenstein allargato all’ambito musicale, quando suggerisce l’esempio di sentire un motivo musicale: noi diamo una fisionomia ad un brano, ecco perché chi ha un minimo di orecchio (di capacità potremmo dire di “vedere come”, nel senso di “sentire come”), si rende conto di una nota stonata. Una nota è tuttavia stonata solo all’interno di un motivo musicale, poiché di per sé una nota non è né stonata né intonata (un si bemolle è intonato per essere un si bemolle), ma lo diviene nelle sue relazioni con le altre note (un si bemolle suonato al posto di un do in un pezzo di Bach fa svenire un critico musicale).

Per concludere, il sehen als è stato oggetto di riflessione anche riguardo all’immaginazione scientifica e alle metafore con cui si sviluppano delle teorie. Gli epistemologi sostengono infatti che il “vedere come” è il modo con cui è possibile vedere la struttura di un fenomeno: descrivere il moto di molecole di gas attraverso il modello delle palle da biliardo non è semplicemente illustrare, ma costruire il concetto della struttura del gas, vederlo come una serie di particelle in collisione. Questa non è una rappresentazione, è il modo con cui si trova la struttura di un fenomeno. In questo senso capiamo Wittgenstein quando dice che il vedere come, vedere modificato o potenziato, è quello che vediamo.

http://utenti.quipo.it/base5/loyd/pstella2.gif (Stella di Lloyd: nell’immagine è presente una stella a cinque punte molto regolare. Alcune persone riescono a vederla subito, mentre altre impiegano tempo, ma tutti riescono prima o poi a vederla. All’improvviso il cervello riesce a comporre l’immagine della stella. Una volta riusciti a vedere la stella, ogni volta che si riguarderà l’immagine, la si vedrà subito, senza sforzo. Quest’immagine fornisce un ottimo esempio del tema del “balenare della forma”. Non bisogna, d’altra parte, pensare che il non vedere la stella comporti una neutra visione fisico ottica dell’immagine: in ogni momento vediamo comunque figure geometriche finché non riusciamo a comporle nella stella, che emergerà, infine, con chiarezza)


 

Beniamino Peruzzi

Bibliografia:
Ludwig WttgensteinRicerche filosofiche, , Einaudi, 2009
Aldo Gargani, Wittgenstein: musica, parola, gesto, Scienze e idee, 2008
Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello,  Adelphi, 2001
Merleau Ponty, Phénoménologie et expérience,  in La phénoménologie de MerleauPonty, Klincksieck, Paris 1973

Una risposta a “La base dell’estetica nel secondo Wittgenstein – Il sehen als

  1. Il che spiega l’apparente paradosso dell’aforisma “la natura imita l’arte”, ovvero l’immagine e le impressioni ricavate dalla percezione della natura da parte nostra non sono un mero riflesso del nudo dato oggettivo, bensì l’elaborazione che noi ne facciamo in termini di costruzione e selezione sulla base di criteri e categorie derivate da impliciti o espliciti canoni estetici e orientamenti percettivi alla cui formazione l’arte può concorrere in misura notevole e significativa. Cioè, in estrema sintesi, è l’arte che può insegnarci a guardare alla natura

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