“Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è”
Wittgenstein, fin dal suo primo pensiero, distingue tra due diversi tipi di atteggiamento: 1) atteggiamento filosofico; 2) atteggiamento scientifico.
1) L’ambito della filosofia, nell’ottica di Wittgenstein è quello del linguaggio, e l’atteggiamento filosofico ha come fondamentale caratteristica la “chiarezza” (Klarheit); il compito della filosofia sarebbe quello del “mostrare” (zeigen), ovvero fare esempi, nel modo più chiaro possibile, dei diversi modi di utilizzare il linguaggio. La filosofia si deve rivolgere al linguaggio, senza pretendere di spiegarne l’essenza, ma solo il suo funzionamento: l’esemplificazione dei giochi linguistici è finalizzata alla nostra comprensione di essi in modo da aiutarci nella prassi linguistica. Il filosofare comprende infatti anche un elemento etico, ovvero alle conclusioni filosofiche deve corrispondere un comportamento coerente.
Questa etica filosofica è una caratteristica che rimane costante in tutte le fasi del pensiero di Wittgenstein come ci dimostra la sua vicenda biografica. Wittgenstein, infatti, col Tractatus logico-philosophicus, pensò di aver risolto i problemi filosofici – come l’esistenza di Dio, del libero arbitrio, etc. -, dimostrando che le proposizioni necessarie a formularli, essendo non rappresentative, non potevano avere significato. La filosofia si sarebbe allora ridotta alle proposizioni del Tractatus, le quali, poiché anch’esse non rappresentative, di fatto rendevano edotti della non-significanza di esse stesse oltre che dei problemi della filosofia. Le proposizioni del Tractatus, che infine dimostrano la loro stessa non-significanza, erano, secondo Wittgenstein, il punto più alto che la filosofia avrebbe potuto raggiungere: erano come una scala che si usa per salire e che poi va gettata via. Wittgenstein si comportò coerentemente con questa conclusione: smise di fare filosofia e partì per fare una serie di lavori quali il maestro di elementari e il giardiniere.
Nel suo secondo pensiero l’elemento etico si concretizza nell’aspetto della “decenza” nell’utilizzo del linguaggio (più volte Wittgenstein fa riferimento alla necessità di tornare a “abitare nel linguaggio” con “decenza”, Anständig).
2) Mentre la filosofia si dedica al mostrare con chiarezza il funzionamento del linguaggio, la scienza si volge invece ai fenomeni fisici del mondo ed è caratterizzata dalla “spiegazione” (Erklaerung). L’atteggiamento scientifico utilizza il “dire” (sagen), fondando sistemi che ci permettono di controllare e comprendere il mondo, mentre, come abbiamo detto, la filosofia “mostra” qualcosa che già c’è, cioè può solo fare chiarezza e non fondare. Per utilizzare le parole di Wittgenstein: “non come (wie) il mondo è, è il mistico, ma che (dass) esso è” (Tractatus logico-philosophicus, proposizione 6.44). È qui contrapposto il Wie (“come”) al Dass (“che”). “Come” il mondo sia, ovvero come funziona, non è indicibile: il mistico (l’indicibile) è “che il mondo è”, ovvero l’essenza del mondo.
La filosofia ha, tuttavia, da sempre avuto la pretesa di voler e in apparenza di poter spiegare il Dass, ed è questo l’errore da cui va purgata. La filosofia tradizionale non ha fatto che reificare le espressioni del linguaggio: ha voluto, cioè, costruire entità concrete da concetti che invece “esistono”, ovvero hanno senso, solo in determinati giochi linguistici, quali “Dio”, la “libertà”, etc.. Così la filosofia ha costruito sistemi di pensiero da quelli che Wittgenstein chiama “i crampi del linguaggio”. Ma un punto importantissimo sostenuto da Wittgenstein è che il linguaggio non porta alcuna responsabilità nei confronti della realtà. È infatti vero che è possibile creare inferenze valide costituite da premesse che non fanno riferimento a una certa entità e conclusioni che vi fanno riferimento, ma ciò non conferisce legittimità ontologica all’entità delle conclusioni. Questa sarebbe una cosiddetta something from nothing transformation. Per comprendere meglio possiamo citare l’esempio di Stephen Schiffer: se prendo due individui, Fido e Pluto e dico che Fido è un cane, e Pluto è un cane, logicamente posso inferire che Fido e Pluto hanno in comune la proprietà di essere cane; ma niente in realtà mi autorizza a dare validità ontologica alla proprietà di essere cane.
Contro gli errori della filosofia tradizionale, Wittgenstein propone una visione della filosofia che porti a un ritorno al linguaggio. Scrive Gilbert Ryle parlando del ruolo della filosofia per Wittgenstein: “Il lavoro della filosofia dovrebbe consistere fondamentalmente nella dissoluzione di errori categoriali”; in altre parole l’attività filosofica consisterebbe nell’eliminazione del fraintendimento che consiste nello scambiare fra loro espressioni che appartengono a categorie d’uso differenti (come abbiamo visto succedere nell’esempio della something from nothing transformation).
L’origine specifica del fraintendimento filosofico si riconduce all’assimilazione di paradigmi e forme linguistiche differenti a un unico modello grammaticale che risulta conseguentemente inconsistente. Si mescolerebbero, cioè, giochi linguistici differenti pensando di starne giocando uno solo. Tuttavia non è da escludere la possibilità che il fraintendimento possa risultare, nell’attività immaginativa dell’uomo, come un modello grammaticale apparentemente coerente. Un esempio di questo fraintendimento ci è presentato dal paragrafo 1 delle Ricerche filosofiche: si cerca di creare un gioco che funzioni in modo unicamente ostensivo, cioè in cui ogni parola denoti un ente preciso, ma in realtà vengono assimilate pratiche e paradigmi linguistici diversi l’uno dall’altro. Infatti l’espressione che Wittgenstein cita a esempio, cioè “cinque mele rosse”, apparentemente potrebbe sembrare coerente con un sistema ostensivo: “Il fruttivendolo […] apre il cassetto su cui c’è il segno “mele”; quindi cerca in una tabella la parola “rosso” e trova, in corrispondenza ad essa, un campione di colore; poi recita la successione dei numeri cardinali — supponiamo che la sappia a memoria — fino alla parola “cinque” e a ogni numero tira fuori dal cassetto una mela che ha il colore del campion”. In realtà le operazioni effettuate dal fruttivendolo implicano tecniche grammaticali differenti e conseguentemente coinvolgono ragioni distinte, idonee a giustificare l’uso di quelle parole. Infatti, quando legge la parola “mele” il fruttivendolo apre un cassetto: quel segno dice di prendere degli oggetti, che sono accomunati dall’appartenere ad un certo tipo di cose; la parola “rosso” invece permette di trascegliere tra le mele del cassetto quelle che hanno una stessa proprietà sensibile e ciò implica il confronto con un campione che valga come metro di quella proprietà; “cinque” infine è un segno che ci costringe ad una prassi complessa: indica sino a che punto dobbiamo procedere nel porre in corrispondenza biunivoca le mele che leviamo dal cassetto e le parole della cantilena dei numeri che ripetiamo uno dopo l’altro. Tutte queste, com’è chiaro, sono operazioni diverse, che coinvolgono cose appartenenti a diverse categorie linguistiche (rispettivamente oggetti, colori e numeri) le quali vengono, nell’esempio, confuse insieme.
Simile situazione è quella del soggetto fobico che, terrorizzato dall’idea di incontrare un fantasma, si chiude a chiave di notte nella sua stanza, pur consapevole che lo spazio fisico della sua stanza appartiene a una categoria grammaticale completamente differente da quella che si riferisce ai fantasmi. Il soggetto fobico, nonostante il suo errore categoriale, per nessuna ragione sarebbe disposto a lasciare la porta aperta.
Vi è affinità filosofica tra Wittgenstein e i due fisici Hertz e Boltzmann, i quali assumono che le teorie scientifiche non rispecchiano le cose come esse sono in se stesse, ma costituiscano modelli attraverso i quali filtrare la realtà del mondo fisico. I modelli non colgono in trasparenza i fenomeni, piuttosto tessono un sistema di relazioni concettuali entro le quali viene interpretato il flusso dell’esperienza: “velocità”, “elettricità”, “forza” non esprimono essenze e fondamenti, ma uno scenario di relazioni, che devono costituire un apparato coerente di connessioni fra i concetti impiegati. Ovviamente la ricerca scientifica accumula un numero di relazioni fra i fenomeni che risulta maggiore di quelle che possono essere conciliate tra loro. Di qui emerge, per così dire, un alone oscuro intorno alla teoria scientifica. Non è scoprendo ulteriori relazioni e connessioni che si può rispondere a quella questione, ma rimuovendo le contraddizioni che esistono fra le relazioni già note, e in tal modo riducendo il loro numero. Analogamente Wittgenstein caratterizzava i problemi filosofici come questioni mal poste, espressioni di fraintendimenti della nostra grammatica che possono essere eliminati unicamente riordinando i fatti che già conosciamo e non andando alla ricerca di nuovi fatti da scoprire.
Beniamino Peruzzi
Bibliografia
Tractatus logico-philosophicus e quaderni 1914-1916, Ludwig Wittgenstein, Einaudi, 2009
Wittgenstein: musica, parola, gesto, Aldo Gargani, Scienze e idee, 2008