Il nostro sistema elettorale, il nostro ordinamento, almeno per quanto riguarda il Titolo V della Costituzione, sono inadeguati alle esigenze attuali del nostro Paese. Questi sono i punti fondamentali che permeano le dinamiche ed i dibattiti della politica e del governo (o governi – sto perdendo effettivamente il conto). “Politicamente esiste un nesso netto tra l’accordo sulla legge elettorale, la riforma del Senato e quella del Titolo V. Sono facce della stessa medaglia”, ha affermato il neo-nominato presidente del consiglio Matteo Renzi. La legge elettorale è al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. Questa, però, non è che la punta dell’iceberg: non risolve il problema del bicameralismo perfetto, della ripartizione di competenze legislative fra Stato e Regioni, e le esigenze di semplificazione, coordinamento ed efficienza del nostro sistema amministrativo. Problemi collegati ma piani differenti di discussione da un punto di vista di tecnica legislativa: ricordiamo che l’iter costituzionale della riforma del Titolo V e la riforma del Senato necessitano di tempi molto lunghi (v. art 138 Cost.) mentre la legge elettorale prevede un procedimento ordinario.
Premessa. La nostra Costituzione ed il legislatore degli anni ‘40 hanno come cristallizzato, fotografato una società, la nostra certo, ma di settanta anni fa: si interpretavano le esigenze di quel periodo che, pacificamente, potrebbero non coincidere più con le nostre. La Costituzione, da punto di vista istituzionale, è vecchia. Il Presidente della Repubblica, per molti aspetti, è un monarca costituzionale rivisitato, il governo è ingabbiato fra il Parlamento ed il Presidente stesso in un sistema di pesi e contrappesi che, da un lato, furono dovuti alla paura di un esecutivo forte dopo l’esperienza fascista e, dall’altro, rispecchiavano il compromesso delle forze politiche in gioco, cattolici, comunisti e liberali.
Veniamo alla legge elettorale. Dopo il proporzionale puro della prima Repubblica, dopo il Mattarellum, dopo che la Corte Costituzionale con la sentenza n. del 4 Dicembre 2013 ha dichiarato incostituzionale il Porcellum, per quanto riguarda l’assegnazione di un premio di maggioranza irragionevole e distorsivo della volontà dell’elettorato ” foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione”, quindi di “una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica”, ecco la nuova proposta di legge, il cd. Italicum.
La Corte si rivolge anche al legislatore, in quanto vi è un’apertura alle liste bloccate, ma corte (no ai “listoni”), già previste dal modello spagnolo. Da segnalare il fatto che la Corte non si esprime contro il premio di maggioranza, bensì contro l’irragionevolezza dello stesso: è ormai pacifico che per l’efficienza di un sistema la volontà popolare al momento del voto debba essere, entro certi limiti, corretta. A cosa serve, però, se poi le coalizioni dopo le elezioni si sfaldano? Che sia indifferente il premio di maggioranza alla governabilità? Potrebbe essere più auspicabile un sistema maggioritario?
Conseguenze: se si andasse oggi al voto lo si farebbe con ciò che resta del Porcellum, escluse le sue parti illegittime, ossia un sistema proporzionale in cui l’elettore potrà almeno esprimere una preferenza. E’ evidente la sua inadeguatezza alle esigenze attuali del Paese.
Renzi, già prima del suo incarico di governo, si è fatto promotore di una nuova legge elettorale, l’Italicum appunto, col tentativo di conciliare le esigenze contrapposte di governabilità e adeguata rappresentatività del consenso dei cittadini. L’Italicum è basato sul sistema elettorale spagnolo ed è stato presentato alla Camera dopo aver consultato tutte le forze politiche (ad esclusione del M5S). Sono stati presentati circa 200 emendamenti che hanno modificato e stanno modificando il suo assetto originario. Un breve elenco dei suoi punti focali :
1) Sistema proporzionale – non maggioritario – su base nazionale, utilizzando la regola “dei più alti resti”
2) Soglie di sbarramento: il 4,5% per i partiti in coalizione; l’8% per i partiti non coalizzati (soglia altissima per i partiti con pretese di autonomia come NCD, che saranno spinti a coalizzarsi); il 12% per le coalizioni.
3) Premio di maggioranza o doppio turno. Con almeno il 37% dei voti si otterrà un premio di maggioranza (massimo del 15%): il partito o la coalizione più votata arriverà quindi almeno al 52% (320 seggi) ma il premio di maggioranza non potrà portarlo oltre il 55 – se quindi un partito ottenesse il 45% dei voti, otterrebbe un premio del 10%, arrivando comunque al 55%. Se nessuno arrivasse al 37% scatterebbe un secondo turno elettorale per assegnare il premio di maggioranza. Accederebbero al secondo turno i due partiti o coalizioni più votati al primo turno, e il vincente otterrà un premio di maggioranza tale da arrivare al 53% dei seggi (327 deputati). Fra il primo e il secondo turno non sono possibili apparentamenti, a differenza del modello elettorale per i sindaci.
4) Circoscrizioni più piccole e liste bloccate, sistema che consente all’elettore di conoscere concretamente chi andrà a votare. Invece delle 27 circoscrizioni attuali si passa a circoscrizioni di dimensione minore, circa 120 collegi (ognuno per circa 500mila abitanti) e in ogni ognuno verranno presentate mini-liste bloccate di 3, 4, 5 o 6 candidati. Non si possono esprimere preferenze – e dopotutto, in Europa, lo si può fare solo in Grecia e Lussemburgo.
5) Candidature multiple. Una norma che mette al riparo i leader dei partiti minori, che rischierebbero di restare fuori dal Parlamento se dovessero sbagliare collegio su cui puntare. E’ permesso presentarsi fino a tre collegi nella stessa regione.
6) Norma “salva Lega”. E’ stata elaborata una norma in salvaguardia dei partiti con una forte connotazione territoriale e quindi, in Italia, principalmente la Lega Nord. I partiti che in tre regioni riusciranno a superare l’8% accederanno al Parlamento anche se non hanno raggiunto la soglia di sbarramento.
7) Norma “salva Sel”. Essa consentirebbe al primo partito coalizzato che non raggiungesse la soglia di sbarramento (Sel, Fratelli d’Italia e NCD) di essere rappresentato ugualmente in Parlamento.
8) Quote rosa. «A pena di inammissibilità nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 50% con arrotondamento all’unità inferiore e nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali non possono esservi più di due candidati consecutivi del medesimo genere». Forse un modo troppo rigido di affrontare le disuguaglianze di genere.
9) Il 4 marzo 2014 un emendamento proposto dal PD ha stralciato l’articolo 2 della nuova legge che disciplinava l’elezione dei senatori: l’Italicum diverrà quindi il sistema per eleggere solo la Camera.
Cambiando le modalità di elezione, non si varia la ripartizione di competenze e la funzione degli organi. Qui si inserisce la riforma costituzionale del Senato. “Proponiamo che fin da marzo parta la riforma del Senato dal Senato e la riforma del Titolo V dalla Camera”, ha detto Renzi chiedendo in aula la fiducia al suo governo. Il rilancio del Paese passa anche da qui.
Il bicameralismo perfetto italiano è l’unico esempio nel mondo, Trova radici storiche nello Statuto Albertino, nell’attribuzione di stesse competenze ad organi rappresentativi di interessi diversi, da un lato una Camera eletta dal popolo, dall’altro un Senato di nomina regia. Oggi è profondamente cambiato il quadro di riferimento e delle esigenze di rappresentatività: abbiamo un Parlamento elefantiaco ed inefficiente. Abolizione? Certamente modifica: se è vero che esistono più parlamenti monocamerali, sono diffusi anche i sistemi bicamerali, soprattutto nei Paesi più influenti: tutti quelli del G8, ad esempio. Guardando ad altri quadri istituzionali è possibile riscontrare nel Senato l’assenza alle procedure di formazione e fiducia di Governo (Spagna, Francia), oppure differenziazioni o limitazioni legislative in base alla materia (Romania, Irlanda) od, ancora, specifiche tutele dell’assetto istituzionale federale o delle realtà locali (Austria, Germania). Attualmente sì è orientati verso una sorta di Camera delle Autonomie col dimezzamento degli eletti, un organo rappresentativo di secondo grado. Qui il problema nell’attribuzione delle competenze – in ogni caso è escluso il rapporto fiduciario col Governo – per evitare una delegittimazione democratica dello stesso.
Veniamo ora al Titolo V che disciplina le Regioni, le Province e i Comuni, stabilisce le funzioni di ciascun ente ed è già stato oggetto di un ampio processo di riforma avvenuto con l’approvazione della legge costituzionale numero 3 del 2001. Problemi in discussione. Cancellazione delle competenze concorrenti che si sono prestate ad inutili sovrapposizioni. Il sistema delle “leggi cornice” non ha funzionato. In settori chiave come infrastrutture, energia, trasporti questo sistema ha allungato i tempi delle decisioni e aumentato i conflitti, anche e soprattutto per le esigenze di conciliare questa sovrabbondanza nel processo decisionale con i vincoli sovranazionali imposti dall’UE. Sono salite, ancora, le entrate e le uscite delle Regioni, è aumentato il contenzioso costituzionale ( ora 1.700, il 40% delle sentenze della Corte Costituzionale). E’ stato definito il “fallimento delle autonomie locali”.
L’intervento riformatore si incentra sul principio dell’unità giuridica ed economica della Repubblica come valore fondamentale dell’ordinamento E’ la cosiddetta ‘clausola di supremazia’ presente in gran parte degli ordinamenti federali. Obiettivo delle riforme saranno la limitazione dei costi, il risparmio e la semplificazione. Saranno abolite le Provincie, anche se resta comunque la necessità di un’entità di raccordo fra Comuni, magari un organo rappresentativo di secondo grado.
“Dobbiamo quindi creare un modello diverso di Paese, ripartendo dai fondamentali”. Così si esprime Renzi sulle riforme. Vorrei , per concludere, sottolineare che qualsiasi sistema elettorale si adotti, qualsiasi Titolo V si voglia porre in essere, sarà sempre l’individuo a votare questo piuttosto che quel candidato o criminale, sarà sempre il singolo a cercare di evadere il fisco, ad aggirare la norma, od a timbrare il cartellino senza andare a lavorare. Tutte queste riforme non devono essere solo una diversa soluzione di problemi astratti o burocratici, bensì un incipit, un punto d’inizio, di una riforma culturale che abbracci tutta la nostra società e che ridia efficienza, forza e credibilità alle nostre Istituzioni.
Arnaldo Mitola
Un ringraziamento al Prof. Francesco Pizzetti
Bibliografia online
http://www.culturademocratica.org/index.php/new/politica/item/222-italicum-e-riforma-del-titolo-v
http://borsaitaliana.it.reuters.com/article/bondsNews/idITL6N0LT2PD20140224
http://www.repubblica.it/politica/2014/01/13/news/consulta_arrivate_le_motivazioni-75853056/
http://www.ilgiornaledelmolise.it/?p=8088
Bibliografia
Antonello Cherchi, Senato, svolta in due mosse, La Repubblica, 24 febbraio 2014