Popper e l’intuizione creativa – Irrazionalità come sinonimo di diversità ed errore

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“Ogni scoperta contiene un elemento irrazionale, o unintuizione creativa ( K.R. Popper).

Per molti il concetto di razionalità è sinonimo di logica ed è ascrivibile a chemi cognitivi predeterminabili. La razionalità è il luogo in cui l’azione viene formulata in maniera conscia, strumentale e concorde con una cornice (frame), . Quest’ultima rappresenta il bagaglio personale di conoscenze ed esperienze acquisite nella vita. Per questo motivo la razionalità non è un concetto universale e comprensibile a tutti, proprio perché soggettiva.

L’intento di queste righe è quello di spiegare, citando il pensiero di alcuni autori, perché il concetto di irrazionalità può essere letto come sinonimo di diversità ed errore.

Come spiega K.R. Popper[1], l’agire è strettamente personale, frutto, come pure suggerisce la filosofia kantiana, del tipo di lenti attraverso cui si guarda il mondo. Dal momento che ognuno “indossa” delle lenti diverse, è frequente che l’individuo tenda a giudicare le azioni di terzi come errate o irrazionali perché nate da una matrice di idee diverse, impalpabili, forgiate da un bagaglio culturale e di esperienze assolutamente personali, intangibili ed inconcepibili ai più. Infatti, solo coloro che hanno vissuto un percorso simile sono probabilmente più propensi a immedesimarsi nel modo di agire dell’altro, riuscendo così a definire come razionali anche delle azioni che condurranno ad esiti poco efficienti.

Per Popper, il concetto di irrazionalità non sembrerebbe esistere, perché il filosofo presuppone che ogni individuo agisca perché mosso dal voler raggiungere fini personali, a lorovolta nati dal modo con cui sipercepisce il mondo. Infatti si presuppone che l’uomo si comporti in una data maniera perché nel tempo t1, egli reputava l’azione A come quella di best-choice. In altre parole, tra gli infiniti sentieri che X poteva percorrere per raggiungere il suo obiettivo, egli ha scelto quello A perché esso rappresentava la soluzione di ottimo in quel momento. Anche se inconsciamente, l’individuo X si aspettava dall’azione A un risultato C che però ha dato un esito inaspettato[2], M.

Nonostante agli occhi dell’individuo X l’azione A rappresentava la scelta migliore rispetto a tutte quelle presenti (per esempio nell’insieme Z) questo schema mentale può essere lontano da quello dell’individuo Y, che quindi può pensare l’esatto contrario. In altre parole, il vedere l’azione A come massimizzazione della propria utilità nel t1, è del tutto opinabile. Non per questo motivo l’azione A  promossa dall’individuo X deve essere giudicata irrazionale solo perché l’individuo Y avrebbe agito in un’altra maniera. Infatti, l’uomo, a differenza dell’animale, durante il processo decisionale non è influenzato solo dall’istinto alla sopravvivenza e dalla logica darwinista bensì dalle sue emozioni, dall’ordine di preferenze e dalle norme sociali vigenti in quel periodo storico. Dunque, dall’esterno un’azione può essere giudicata errata ed irrazionale semplicemente perché non conforme al modo con cui l’altro individuo si sarebbe comportato. Quante volte nell’intimo della nostra coscienza ci siamo detti “io al post suo non mi sarei certo comportato così”? O ancora quanto spesso l’azione di un nostro simile ci appare come totalmente immotivata? Al contrario il filosofo austriaco argomenta che l’irrazionalità altro non sia che un’“intuizione creativa”. È tipico dell’uomo agire in maniera strumentale, ovvero con l’intento di raggiungere un determinato risultato coerente con il calcolo di costi e benefici che fa perno sulla percezione che egli ha del mondo ad un dato istante.

Nell’ambito economico, come in quello socio-antropologico, il concetto di razionalità è strettamente legato a quello di massimizzazione dell’utilità attesa. Se si postulasse quanto detto di sopra, ovvero che l’individuo avesse una visione del mondo strettamente personale e non in armonia con quella di terzi, il medesimo risultato di un’azione può essere raggiunto anche in maniera più efficiente ed efficace seguendo un altro “sentiero”. Difatti, come verrà spiegato più avanti, l’agire umano è scaturito da principi di natura epistemologica e strumentale.

Quanto detto nelle prime righe, viene in parte richiamato nel IV postulato della teoria della scelta razionale la quale spiega che le ragioni che portano l’individuo a comportarsi in una certa maniera, quindi ad avere un determinato atteggiamento e a prendere determinate decisioni, sono il frutto di variabili strettamente individuali, difficilmente comprensibili dal prossimo ma l’una effetto dell’altra. Tra le più importati possiamo citare: il bagaglio culturale e di esperienze vissute (facendo riferimento all’insieme di fallimenti e conquiste), la cultura e il tipo di educazione ricevuta. Il giudizio di irrazionalità circa il comportamento altrui trae quindi la propria forza dalla profonda diversità che intercorre fra un individuo e l’altro. Vivere in un frame dominato dalla soggettività, porta l’individuo ad agire diversamente dagli altri, raggiungendo uno stesso obiettivo attraverso un’azione diversa. Essere in questa sfera di soggettività ha fatto sì che diventi solito pensare che la propria azione sia la migliore. Non è difficile, infatti, rilevare come sia consuetudine considerare l’altro modo di agire come irrazionale perché fuori dallo spettro logico radicato in ogni uomo, dominato da un diverso modo di vedere il mondo.

L’uomo può dunque essere definito irrazionale e quindi diverso nel momento in cui si distacca dal modus vivendi tipico della società in cui vive. Egli se ha deciso di discostarsi dalla prassi invalsa per perpetuare i propri fini, probabilmente reputava quell’azione la più vicina al raggiungimento dei suoi obiettivi nonché la più coerente con le emozioni provate in quel momento. In ogni caso l’essere umano in carne ed ossa sarà sempre diverso dall’homo oeconomicus, perché a differenza di questo a volte fallirà e cadrà in errori per lui forieri di memoria ed esperienza. A voler essere semplici l’homo oeconomicus è razionale (ex definitione), l’essere umano cresce.

Anticipando la grande stagione delle neuro-scienze degli anni ‘90, Von Hayek sulla scia di  Kant, spiega che la mente umana è un framework che percepisce i diversi stimoli ambientali sulla base delle esperienze pregresse, coniando in questo modo la visione che ogni singolo individuo ha della vita. In altre parole, citando Hayek, quel che «chiamiamo mente è […] un particolare ordine di un complesso di eventi che hanno luogo in un certo organismo e che sono in qualche modo correlati, ma non identici all’ordine fisico degli eventi dell’ambiente esterno»[3]

Irrazionalità come sinonimo di errore. Una spiegazione di questo principio semantico può essere ricondotta al “fallibilismo gnoseologico” ovvero a quella situazione di asimmetria informativa che conduce l’individuo a compiere degli errori. Questa situazione è risolvibile solo grazie alla cooperazione. L’uomo, benché possa effettuare un sommario calcolo delle probabilità e dei rischi prima del processo decisionale vero e proprio, non possiede mai la certezza piena che si possa compiere il suo volere. D’altronde il cervello umano non ha la capacità di analizzare e monitorare tutti i fenomeni che si offrono alla sua sensibilità. La finanza e il poker possono essere citati come esempi. Questo testimonia come a volte azioni intenzionali implichino risultati inintenzionali, dovuti alle infinite variabili, esterne ed interne al processo decisionale, che influenzandolo lo hanno portato lontano dalle conseguenze aspettate e volute. Quanto detto, non è troppo distante dall’idea della “mano invisibile” di Adam Smith. Dunque, mancando nell’uomo il principio dell’onniscienza e ricollegandoci al concetto di mente di Hayek descritto in precedenza, un’azione che viene denominata irrazionale, in realtà è frutto dell’asimmetria informativa e della celebre mano smithiana. Per questo motivo l’azione “irrazionale” dovrebbe essere meramente classificata come un errore.

La teoria delle euristiche e dei bias[4] può spiegare meglio perché il termine irrazionalità può essere considerato come sinonimo di diversità ed errore. Tali concetti sono stati formulati e discussi negli anni 50’ da Tversky e Kahneman[5]. I due studiosi sono arrivati alla conclusione che il processo decisionale non sia costituito solo da eventi e momenti circoscritti di valutazione e scelta, bensì da giudizi e decisioni, che si susseguono in un processo dinamico nel tempo e nello spazio controllato sia da elementi fisico-ambientali che umani. In altre parole, si tende ad attribuire ad oggetti simili delle proprietà convergenti anche se la loro essenza è in realtà diversa[6]. Questo, però, può rendere i contorni della realtà-pensata meno certi, dal momento che vengono trascurate informazioni che potrebbero, se debitamente considerate nell’iter decisionale, aprire il campo a degli effetti e quindi a delle conclusioni diverse da quelle stimate.

In conclusione, considerando l’uomo come un essere pensante che agisce, influenzato da variabili esterne ed interne al suo organismo, viene quasi spontaneo considerare che ogni azione umana sia razionale e nessuna irrazionale. Quindi, affermando che ogni scoperta sia il risultato di un azione umana, ed essendo quest’ultima frutto del frame in cui ogni individuo vive, l’iter decisionale non si basa più su principi di irrazionalità, bensì su quelli si diversità ed errore. Se l’individuo sbaglia, non lo fa volutamente (è infatti un essere pensante) ma in modo razionale. Giungiamo così a definire lo sbaglio come il risultato della mancata interiorizzazione di un livello di conoscenza tale da poter evitare di cader in errore. Infine, ogni azione viene considerata dall’altro irrazionale perché lontana dalla propria realtà-pensata; i risultati lontani da quelli attesi, sono definiti errori, ma non per questo non massimizzano l’utilità dell’agente.

Sofia Viola

Con amcizia letto da Samuele Crosetti e Arnaldo Mitola 

[1]Popper K. (2009). Congetture e confutazioni, trad. it., Il Mulino, Bologna.

[2] Inaspettato non inteso come fallimentare.

[3] Hayek, F.A. von (1952). The Sensory Order. An Inquiry into the Foundations of Theoretical Psychology, Routledge & Kegan Paul, London; tr. it. Lordine sensoriale. I fondamenti della psicologia teorica, Rusconi, Milano1990.

[4] I bias, sono degli errori cognitivi sistematici di cui la nostra mente è spesso prigioniera a causa di euristiche non sempre efficaci.

[5] Tversky A. e Kahneman D. (Sep. 27, 1974). Judgment under uncertainty: Heuristics and biases. Science, New Series, Vol. 185, No. 4157.

[6] Viene in questo modo spiegata la relazione tra il principio di irrazionalità e di diversità.

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