Bicameralismo perfetto. Questa espressione indica la forma istituzionale del nostro Stato. Il Parlamento italiano è diviso in due Camere con pari poteri distinte tra di loro in minima parte: la Camera dei Deputati è eletta a base nazionale, il Senato della Repubblica è eletto a base regionale con alcuni membri nominati dal Presidente della Repubblica (PdR). Questa forma è stata introdotta dai Padri Costituenti per trovare un compromesso all’instabile situazione politica che la guerra aveva prodotto con una forte contrapposizione tra l’ area cristiano-democratica e l’ area comunista. Compromesso che si è tentato di modificare durante la storia repubblicana con l’istituzione di Commissioni Bicamerali (dalla Bicamerale “Bozzi” fino alla recente Bicamerale “D’Alema”) che hanno prodotto risultati interessanti ma rimasti sempre sulla carta, fino all’insediamento del Governo Renzi. Il nuovo primo ministro, con la sua indubbia forza propulsiva, ha riportato al centro del dibattito politico la modifica del bicameralismo perfetto, che comporterebbe (nelle intenzioni) un’opera di ammodernamento dello Stato, di accelerazione del procedimento legislativo, di riduzione dei costi della politica e di maggiore influenza dei Comuni e delle Regioni nelle decisioni dello Stato.
Ecco i punti chiave di questa riforma:
1) passaggio da un Senato elettivo ad uno non elettivo i cui membri saranno Sindaci, Presidenti di Regione e delle Provincie Autonome di Trento e Bolzano, cinque membri eletti dal Presidente della Repubblica e altri membri eletti dai consigli regionali e comunali (c.d. Senato delle Autonomie) e con poteri differenti rispetto alla Camera dei Deputati (quindi un bicameralismo imperfetto);
2) elezione del PdR effettuata dal Parlamento in seduta comune (Camera dei Deputati e Senato delle Autonomie);
3) soppressione della potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni;
4) modifiche per l’ elezione dei giudici della Corte Costituzionale.
Riforma indubbiamente ambiziosa ma ancora in fase di rodaggio e quindi soggetta a modifiche che non permettono ancora di avere un quadro chiaro, soprattutto sulla competenza legislativa che spetterebbe alla nuova Camera. La proposta di legge elettorale approvata dalla Camera dei Deputati da poche settimane punta a dare alla coalizione vincente le elezioni politiche i 2/3 dei seggi alla Camera dei Deputati, l’unico organo delegato a concedere la fiducia al Governo nella proposta di riforma costituzionale (e non entrambe le Camere come avviene con il bicameralismo perfetto). Un grandissimo risultato che garantisce stabilità di Governo, che nel nostro Paese è viziata fin dall’Unità d’Italia (salvo durante il ventennio fascista i governi italiani hanno una vita media di un anno), ma che comporterebbe un’ enorme influenza (se non una vera e propria ingerenza) del Governo nell’elezione di una figura che i nostri Padri Costituenti ritenevano dovesse avere una funzione di garanzia e super partes, ossia il Presidente della Repubblica. Ebbene sì, perché anche se prevista la modifica del quorum necessario per l’elezione del PdR (si prevede un quorum dei due terzi per i primi 4 scrutini, di tre quinti per le successive 4 votazioni e dal nono voto in poi basterà la maggioranza assoluta solo del Parlamento in seduta comune senza i delegati regionali), i numeri che la legge elettorale dà alla coalizione vincente permettono di avere fin da subito un novero di elettori che si avvicina molto al quorum senza trovare un accordo con le altre forze politiche, facendo venir meno la figura di rappresentante dell’unità nazionale che la nostra Costituzione attribuisce al PdR. Influenza, se non ingerenza appunto, che si ripercuote anche nella nomina dei giudici della Corte Costituzionale (1/3 dei 15 componenti sono nominati dal PdR), destabilizzando un sistema di garanzie che è imprescindibile in ogni stato democratico.
Angelo Grasso
Bibliografia
Modugno F. (a cura di), Diritto Pubblico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2012, pp. 261-263
Immagine
http://www.aldogiannuli.it/2013/04/golpe-non-e-ma-vera-porcheria-si/