Guarire dalla corruzione – La rana e l’ acqua calda

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L’Italia è un paese corrotto. Lo dicono le statistiche, lo diciamo noi, lo diciamo tutti, lo dicono i corrotti. Molto curioso. Sembra quasi una situazione spontanea della convivenza sociale, del tutto accettabile. L’attuale presidente del Senato Pietro Grasso afferma: “La stima della Corte dei Conti è di circa 60 miliardi di euro di costi diretti; enorme l’impatto sulla crescita, perché altera la concorrenza favorendo coloro che si avvalgono di contratti ottenuti attraverso tangenti; una diminuzione del 16 per cento degli investimenti all’estero ed un 25 per cento di minor crescita per le imprese costrette a pagare tangenti. (…) l’Italia è al 72° posto su 178 nella graduatoria della percezione della corruzione”. Addirittura! L’ ex procuratore nazionale anti-mafia cita anche il propretore della Sicilia Gaio Licinio Verre: “Così’ muore uno Stato. Il sottrarre ad altri per sé e per la propria fazione è più contrario alla salute dello Stato che la guerra e la carestia”. Derive individualiste.

Cos’è, però, la corruzione? Limitarci all’aspetto socio-economico, pur fondamentale, pare riduttivo. La corruzione non è semplice scambio di favori fra complici. E’ qualcosa di più. Vorrei in questa sede e brevemente, quindi, trattare il tema da un punto di vista etico-religioso. L’attuale papa, Francesco, ha scritto nel 2005 un breve libello, Guarire dalla Corruzione, che può aiutare a far luce sull’argomento. L’ex arcivescovo di Buenos Aires sottolinea un elemento fondamentale: “Ogni corruzione sociale non è altro che la conseguenza di un cuore corrotto”. La corruzione è responsabilità collettiva, è colpa individuale. E’ sempre bene rivolgere lo sguardo alla propria coscienza. Jorge Mario Bergoglio afferma che la corruzione è un abito operativo negativo, ma non un semplice vizio, in quanto la ripetizione continua di peccati porta ad abitudini “che vanno deteriorando la propria capacità di amare, ripiegando ogni volta di più i riferimenti del cuore su orizzonti più vicini alla sua immanenza e al suo egoismo”. “Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21): proprio proiettare in modo errato la propria vita, far aderire il proprio cuore a cose sbagliate, seduce ed inganna l’uomo. Prosegue il papa: “Quando qualcosa inizia ad avere un odore cattivo è perché esiste un cuore schiacciato tra la sua propria autosufficienza immanente e l’incapacità reale di auto-bastarsi; c’è un cuore putrefatto a causa dell’adesione eccessiva ad un tesoro che l’ha conquistato”. Il corrotto non si rende conto della cancrena che lo attanaglia, “sono gli altri che se ne accorgono, e devono farglielo notare”. Anzi, se da un lato il peccatore riconosce il suo errore, il corrotto, invece, no. Cerca di rendere il suo comportamento socialmente accettabile, e mira ad abbassare gli altri alla sua misura, a renderli compartecipi, complici, del suo stile di vita, in un’atmosfera di trionfalismo: “L’esperienza dice che questi atteggiamenti danno buoni risultati, e così il corrotto si sente un vincitore”. La socialità del corrotto è elemento degno di nota.

La corruzione è la lenta morte di un corpo, fisico o sociale che sia, la lenta sconfitta di un’anima, la definitiva sclerosi del cuore. E siamo noi, l’uno con l’altro, ad ucciderci. Vi regalo un immagine del Nerone letterario di Sienkiewicz, nelle parole della schiava Atte: “No! Neppure lui era cattivo. In quel tempo si stimava buono e desiderava esserlo. Non lo so che io; la sua trasformazione avvenne più tardi, quando cessò di amare. Altri lo hanno fatto quello che è (…)”.

Antitesi: il marchese de Sade scrive in Juliette, ovvero la prosperità del vizio: “L’abitudine delle azioni che ci atterriscono arriva ad indurire la coscienza, il rimorso, che non era che la debolezza di questa coscienza, si annulla ben presto completamente”; papa Francesco afferma: “La corruzione non è un atto, ma uno stato, uno stato personale e sociale, nel quale uno si abitua a vivere”. La corruzione strangola la propria coscienza in un lento processo di abdicazione ad essa che porta all’illusione: il corrotto finisce per fare una giurisprudenza delle sue azioni, un modello di comportamento, finisce per crederci. Sta all’individuo, quindi, esercitare la propria coscienza e non permetterle di atrofizzarsi: non vi è mai una definitiva acquisizione, ma una continua conquista di qualcosa che, pur sepolto, insabbiato da noi stessi e dalle violenze del consorzio in cui viviamo, è connaturato in noi. Ribaltando quanto sostenuto da de Sade: il rimorso non è debolezza, ma la più grande forza che l’uomo possiede ed è proprio quando lo ha abbandonato che diviene corrotto. È ciò che ci abituiamo ad essere che ci qualifica. Cambiamo ancora contesto: forse ha ragione Will Hutton, ex direttore di The Observer, quando afferma: “La scomparsa della virtù è la piaga dei nostri tempi. Essere avidi è legittimo. Diventare ricchi, anche grazie a premi scandalosi o evadendo il fisco, è l’unica cosa che conta nella vita”. La coscienza, però, può essere, per così dire, resuscitata. Qui l’aiuto di Dio – consentitemi la mia deriva cristiana – qui l’aiuto di chi ci è vicino. Da soli, spesso, non ci rendiamo conto della nostra situazione, bisogna che qualcuno ci sollevi ex humo, dal fango in cui stiamo affogando. Non bisogna mai smettere di chiedere aiuto, mai cessare di accettarlo. Papa Bergoglio dice proprio che la corruzione porta ad una “stanchezza della trascendenza”, per cui, sepolti dalla propria mondanità, si rifiuta di invocare il perdono di Dio: “Peccatore sì, corrotto no!”. Torniamo indietro nel tempo. Michelangelo Buonarroti scrive: “In me non è di me voler né forza” (Rime, 152 ): è necessario aggrapparsi alla mano che ci viene offerta. Umiltà.

Mio padre mi ha regalato un’immagine, tratta da una storiella d’infanzia. La rana immersa nell’acqua non accorgendosi dell’aumento graduale di temperatura, muore una volta arrivato il momento dell’ebollizione: quando se ne accorge, è troppo tardi perché possa fuggire via. Alla corruzione si procede scivolando. Bisogna, a differenza della rana, spiccare il salto prima che sia troppo tardi. Per l’anima dell’uomo che confida in Dio non lo è mai. Mi auguro non lo sia neanche per il nostro Paese.

Arnaldo Mitola

Un ringraziamento a Carlo Prosperi

Bibliografia:

Jorge Manuel Bergoglio, Guarire dalla Corruzione, emi, 2013
Donatien-Alphonse-François de Sade, I romanzi maledetti, Newton Compton Editori, 2011
Henryk Sienkiewicz, Quo vadis?, Oscar Mondadori, 2011

http://www.liberliber.it/mediateca/libri/b/buonarroti/rime/pdf/rime_p.pdf
http://it.calameo.com/read/0004209014b59c9a22027

Immagine:

http://www.lettera43.it/foto/gmg-a-rio-de-janeiro-francesco-affronta-la-crisi-del-cattolicesimo_43675103018.htm

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