“We didn’t commit suicide, we committed an act of revolutionary suicide protesting the conditions of an inhumane world.” Con queste parole, pronunciate il 18 novembre 1978 dal reverendo Jim Jones, 912 adepti del Peoples Temple, un movimento laicale di ispirazione comunista, si uccidono, ingerendo cianuro, nella giungla della Guyana. Dopo aver presieduto al più grande suicidio di massa della storia, muore suicida anche Jones, leader della setta e forza ispiratrice della tragedia. L’obbedienza all’autorità di Milgram, il suicidio altruistico di Durkheim e la riprova sociale di Cialdini offrono tre interpretazioni della vicenda.
Come sia riuscito un solo uomo ad indurre oltre novecento persone alla morte deliberata resta ancora un mistero. Tuttavia, un’interpretazione prevalente riguarda l’obbedienza all’autorità, teoria sottostante l’esperimento condotto nel 1961 dallo psicologo statunitense Stanley Milgram con lo scopo di studiare le reazioni di individui a cui un superiore ordina di eseguire delle azioni che confliggono con la morale degli individui stessi. Sulla base dell’alto tasso di obbedienza risultante dall’esperimento e dei regimi totalitari instauratisi tra le due guerre mondiali, numerosi studiosi del caso hanno insistito sulla personalità tirannica e carismatica di Jones, e hanno visto nella maestria retorica, nell’abilità manipolatrice e intimidatrice, le origini del suicidio collettivo. Enrico Pozzi, docente di psicologia sociale alla Sapienza, ha scritto, “la maggior parte delle spiegazioni finisce col ricorrere al carisma del pastore come principio inspiegabile e potenza misteriosa, capace al tempo stesso di legare a sé dei seguaci e di indurli a qualsiasi tipo di comportamento, anche il più abnorme.” Jones, infatti, era onnipresente nella vita dei suoi seguaci. Come afferma la sorella di una delle vittime, egli aveva inculcato nei fedeli “a pervasive sense that they were under attack […] and that evil forces were traveling to Guyana to destroy them.” Egli inoltre aveva fatto installare nella giungla della Guyana degli altoparlanti dai quali trasmetteva ininterrottamente, giorno e notte, sollecitazioni, ammonimenti e ordini, soprattutto il dovere di rimanere nel villaggio (“it’s blasphemy to talk about going back!” avverte Jones in una registrazione). Più volte Jones aveva domandato ai suoi fedeli se sarebbero stati disposti a sacrificare la vita per lui; secondo un testimone, “this was a test of loyalty, he wanted to see if we were truly committed to his cause.” E, come se non bastasse, Jones aveva rapporti sessuali con tutti i membri adulti della setta; per Pozzi, “il sesso è l’essenza del carisma, dunque del potere; voler accedere al sesso significa volersi impossessare dell’energia coesiva del gruppo, cioè del gruppo stesso.”
Una chiave di lettura sociologica particolarmente calzante è il suicidio altruistico teorizzato da Émile Durkheim, uno dei massimi esponenti del collettivismo. Anzitutto, attraverso il suicidio altruistico, il gruppo primeggia sull’individuo: “l’io non si appartiene ma si confonde con altra cosa diversa da sé e dove il polo della condotta è situato al di fuori di lui, cioè in uno dei gruppi a cui appartiene […] l’individuo aspira a spogliarsi del suo essere individuale per annientarsi in quell’altra cosa che considera la sua vera essenza […] è in quella e in quella soltanto che crede di esistere ed è per esistere che vuole così fortemente confondersi ad essa. Dunque, egli non si considera in possesso di un’esistenza propria.” L’identità dell’individuo coincide con e si confonde nell’identità di gruppo. Il Peoples Temple costituiva una comunità compatta, filo-marxista ed integrazionista, “a society where people own all things in common, where there is no rich or poor, where there are no races,” come lo stesso Jones la definì.Egli infatti era riuscito ad aprire una breccia nei rapporti interrazziali e aveva eliminato le stratificazioni sociali esortando i fedeli a cedere i beni materiali in eccesso. Le testimonianze dei pochi sopravvissuti sono emblematiche a riguardo: “Every single person felt that they had a purpose there and that they were exceptionally special,” e soprattutto: “in the Temple I let my environment shape me.” Oltre alla coesione sociale, Durkheim sottolinea l’importanza del controllo di ciascun membro della collettività nei confronti degli altri: “il gruppo […] è vicino a tutti, e non può perdere di vista nessuno; ne consegue che la sorveglianza collettiva è continua e perviene più facilmente le divergenze.”Di conseguenza, il gruppo si caratterizza per un appiattimento delle particolarità individuali e per una massificazione nei comportamenti, nelle opinioni e soprattutto negli obiettivi. Nel caso del Peoples Temple, chi violava le regole veniva maltrattato e umiliato pubblicamente dal resto della comunità. L’intimità di coppia e la privacy tendevano a scomparire in quanto dominava la promiscuità. Nel Peoples Temple si sapeva tutto di tutti, e ciò, nell’ottica di Durkheim, rappresenta terreno fertile dove consumare un suicidio altruistico giacché “mancano all’individuo i mezzi per crearsi un ambiente speciale al cui riparo possa sviluppare la sua natura.”
Lo psicologo americano Robert Cialdini dà una spiegazione dell’accadimento che si fonda sull’imitazione, la cosiddetta “riprova sociale” (termine coniato da Cialdini), che consiste nel compiere le proprie scelte sulla base di ciò che fanno gli altri. Il suicidio del Peoples Temple sarebbe stato quindi “un atto di acquiescenza su larga scala [che] si spiegherebbe proprio in quanto ogni membro della setta, isolato nella giungla dal resto del mondo […] avrebbe cercato negli altri presenti la riprova sociale della giustezza dell’atto suicido a cui venivano spinti sia pure solo a parole.” La riprova sociale spiegherebbe anche “con quanto ordine gli abitanti di Jonestown abbiano fatto la fila per morire.” Cialdini insiste: il fattore che più di ogni altro ha contribuito a determinare l’esito drammatico è stato il trasferimento del Tempio del Popolo dalla California alla Guyana, “in mezzo alla giungla, fra gente diversa per lingua e costumi”; il colpo da maestro fu la decisione di Jones di “sradicare la comunità dall’ambiente urbano dov’era nata per trapiantarla nella foresta tropicale, dove le condizioni di incertezza e isolamento avrebbero potenziato questo meccanismo psicologico come in nessun altro luogo.” Differentemente dalla coesione sociale di cui parla Durkheim, frutto di un’assimilazione nel lungo periodo, la riprova sociale è immediata. Mentre Durkheim esalta la prevalenza del gruppo sul singolo, Cialdini predilige l’azione individuale: imitandosi reciprocamente i membri della setta hanno provocato a catena la loro morte. Ciò che emerge è che l’individuo domina il gruppo, non si lascia inglobare dalla collettività, ma, anzi, ne determina la sorte. Sempre secondo Cialdini, un’altra arma della persuasione usata da Jones è la reciprocità, in virtù della quale ci sentiamo obbligati a ripagare una cortesia o un’attenzione. Jones, infatti, si atteggiava a benefattore e a guida spirituale, elargiva doni, curava i malati, offriva assistenza. Cialdini cita l’esperienza di un’adepta, Diane Louie, che non si piegò alla volontà di Jones e riuscì a salvarsi, perché non aveva mai accettato favori da Jones (“Non volevo essergli debitrice in niente”). La generosità di Jones, quindi, sarebbe stata finalizzata ad ottenere la piena e cieca obbedienza dei seguaci. I fedeli del Peoples Temple si sono sdebitati, con la morte, nei confronti di chi li aveva tanto aiutati.
L’interpretazione di Cialdini presenta indubbiamente degli elementi convincenti; tuttavia non posso non esprimere due critiche. Anzitutto, Cialdini scrive: “immagino che si sia verificato uno di quei fenomeni di ignoranza collettiva […]: ognuno osservava il comportamento degli altri e, vedendo intorno a sé una calma apparente veniva a sapere che fare pazientemente la fila era il comportamento giusto” e che questo spiegherebbe “la spettrale compostezza dei cadaveri”. La “calma disciplinata”, “l’assenza di panico” e l’atteggiamento “disorientato e incerto” di cui parla Cialdini, tuttavia, sono in palese contrasto con la death tape degli ultimi minuti di vita dei seguaci (l’FBI ne ha resi pubblici degli spezzoni, mentre la trascrizione in italiano è di Enrico Pozzi). Questa è infatti caratterizzata da agitazione, disperazione, urla, pianti, e la voce di Jones che incalza: “Possiamo sbrigarci con quella medicina? Dovete sbrigarvi!” e ancora, nella registrazione originale, “Stop this hysterics! Keep your emotions down!”, ma anche da applausi, grida di approvazione e veementi contestazioni all’unica donna che osò opporsi pubblicamente, Christine Miller. Riguardo alle file dei cadaveri, ipotizzo che, poiché il cocktail al cianuro somministrato da Jones non portò ad una morte istantanea, le vittime ebbero il tempo di posizionarsi ordinatamente. La seconda critica che mi sento di muovere a Cialdini è che gli adepti non si trovavano né “in un paese ostile”, né “in un luogo totalmente sconosciuto”; al contrario, si trattava di una comunità raccolta (un migliaio di abitanti) che aveva edificato il villaggio di Jonestown, produceva beni ed alimenti per il proprio sostentamento e viveva in Guyana da più di un anno. Gli adepti consideravano questa realtà, e non il paese che avevano lasciato, la loro casa.
La visione collettivistica di Durkheim, invece, si sposa benissimo con quanto avvenuto in Guyana, esempio eclatante dell’interdipendenza di ogni essere umano all’interno del gruppo e della priorità delle finalità di gruppo sulle finalità individuali. In riferimento al panteismo – concezione filosofica per la quale Dio è l’essenza di tutte le cose – Durkheim scrive, “la passione entusiastica con la quale i fedeli della nuova religione andavano incontro al supplizio finale dimostra che essi avevano completamente alienata la propria personalità a vantaggio dell’idea di cui si erano fatti servitori”. Il parallelismo col Peoples Temple è lampante: i seguaci di Jones erano animati dalla profonda convinzione che la morte fosse loro comune destino e andasse perciò accolta a braccia aperte. In aggiunta, a parere di Durkheim, il suicidio collettivo esprime “speranza perché si fonda su fatto che, oltre questa vita, sono intraviste prospettive migliori.” Gli fa eco Jones quando annuncia che “la migliore testimonianza […] è di lasciare questo mondo maledetto” perché “la morte è un milione di volte preferibile al trascorrere altri giorni di questa vita. Se sapeste cosa vi aspetta, sareste contenti di fare l’ultimo passo questa notte.”
*Jonestown, stando alla definizione di Wikipedia, “è il nome informale con il quale ci si riferisce al Peoples Temple Agricultural Project”, una comunità fondata nella Guyana nordoccidentale dal Tempio del Popolo, capeggiata dal reverendo Jim Jones.
Maria Elena Sandalli
Bibliografia
Cialdini, Robert, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì. Giunti, Firenze 1995.
Durkheim, Émile, Il suicidio: Studio di sociologia. BUR Rizzoli, Milano 2010.
Pozzi, Enrico, Il carisma malato: il People’s Temple e il suicidio collettivo di Jonestown. Liguori, Napoli 1992.
Oliverio, Albertina, Dall’imitazione alla cooperazione: la ricerca sociale e le sue sfide. Bollati Boringhieri, Torino 2012.
Bibliografia online
Gordon, James S. “Jim Jones’ Temple of Doom.” Cult controversy 1 (1988): <http://www.apologeticsindex.org/.>
Jonestown: The Life and Death of Peoples Temple. Dir. Stanley Nelson. Perf. Tim Carter, Stanley Clayton, Rebecca Moore, Deborah Layton. Firelight Media, 2006. Film.
Judge, John. “The Black Hole of Guyana–The Untold Story of the Jonestown Massacre.” rat haus reality, ratical branch. <http://www.ratical.org/ratville/JFK/JohnJudge>.
Kilduff, Marshall and Tracy, Phil. “Inside Peoples Temple.” New West 1 Aug. 1977: <http://jonestown.sdsu.edu/AboutJonestown/PrimarySources/newWestart.htm>.
Pozzi, Enrico. “Narrazione di un suicidio collettivo.” Il Corpo 1.2 (1994): <http://www.ilcorpo.com/it/rivista.htm>.
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