Il noi di Robert Nozick – Riflessioni sull’amore

 

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Sono molte le manifestazioni dell’animo umano cui è assegnato, più o meno arbitrariamente, il nome di “amore”: la passione, l’affetto che lega un padre ad un figlio, il sentimento di appartenenza alla propria città o nazione. Tutte queste forme di amore hanno in comune il fatto che il benessere di chi ama è strettamente legato a quello della persona (o della cosa) amata. Una sorta di interdipendenza.

Vorrei concentrarmi in questa sede sul sentimento che intercorre nel rapporto di coppia, in particolare condividendo l’esperienza del filosofo Robert Nozick. “Ogni volta che, non importa come, nasce un’infatuazione, se le è data l’opportunità si trasforma in un amore duraturo altrimenti scompare. Nel primo caso le due persone hanno la sensazione di essersi unite per formare e costituire una nuova entità del mondo, quello che potremmo chiamare un noi”. L’amore passa dagli occhi, dice un proverbio. Appunto passa, non si ferma. Mi piace quel “non importa come”: la propria inclinazione verso una persona passa indiscutibilmente attraverso un canale che soggiace alla logica del piacere (gli occhi): vuoi per ragioni estetiche, intellettuali, olfattive perché no, oppure per il prestigio ed il carisma della persona o per la mera prospettiva di soddisfacimento sessuale. Qui si colloca l’infatuazione. Niente di negativo, semplice momento dialettico. Poi si presentano due prospettive: la crescita o la scomparsa del sentimento, che può esaurirsi in un rifiuto, in una scopata o in un incompatibilità caratteriale o di scelte di vita (come in tutte le cose possono incidere sia profili soggettivi che oggettivi, con preponderanza proporzionale all’attitudine con cui si è vissuto il sentimento). Cosa succede se “le è data l’opportunità”? Si sviluppa in qualcos’altro, che porterà, se coltivato, al noi. È necessario qui trovare un nuovo vocabolo per lo status, che non è più “infatuazione”. Opterei per “innamoramento”. Le specificazioni del linguaggio, una volta introiettate, palesano e specificano determinati stati d’essere, oltre che della realtà esterna, anche del proprio mondo interiore. Personalmente mi rendo conto di non essere stato mai innamorato. Magari avrei voluto. Ma non divaghiamo. Che cos’è un noi?

”Se immaginiamo il sé individuale come una figura chiusa dai confini ininterrotti e solidi che separano quello che sta dentro da quello che sta fuori, allora potremmo schematizzare il noi come due figure la cui linea di confine è cancellata dove esse si incontrano. (…) La facoltà unificatrice dell’esperienza sessuale, dove due persone confluiscono l’una nell’altra e si fondono profondamente, rispecchia ed aiuta la formazione del noi”. Qui reputo interessanti due aspetti. In primis, l’immagine visiva di due figure che si intersecano ed uniscono in un solo essere. Ciò è interessante perché distingue l’amor coniugalis da altri tipi di affezione che, pur caratterizzati da interdipendenza, non vanno ad incidere sull’identità stessa della persona: non è possibile per un padre identificarsi nel figlio, né per il guerriero nella patria. In questi casi, non vi è simmetria nell’amore e nell’identità, non deve o non può esserci. Il secondo aspetto che qui mi ha colpito è il processo di significazione del sesso. Non è mera acquisizione di intenso piacere, ma strumentale alla formazione di una comune identità. Una concezione che potremmo forse definire magico-animistica, ma sicuramente affascinante, che sottolinea e palesa come molte volte il valore dei fenomeni non sia tanto intrinseco ad essi, ma riferibile alla sfera soggettiva di chi percepisce e vive. Dopotutto, forse il passaggio dall’etica dei risultati a quella delle intenzioni segna il passaggio all’età matura. Allargando un po’ il quadro – si vuole in questo articolo solo scarabocchiare dei significati, non approfondire – è il dare a questo aspetto, l’aspetto cioè della creazione di una comune identità, un valore predominante su quello procreativo che differenzia una prospettiva laica dall’attitudine cristiano cattolica che non accetta e non può accettare certe manifestazioni del sesso, come nell’esperienza omosessuale, altrimenti lecite od addirittura fondanti in altri contesti culturali: si pensi al rapporto paideutico della società greca in cui l’omosessualità contribuiva a creare un senso di appartenenza reciproca (a Sparta addirittura non si potevano avere rapporti eterosessuali prima del matrimonio). Il sesso, quindi, può avere un largo ventaglio di significati, più o meno interdipendenti fra loro. Personalmente, sono felice e grato di appartenere al contesto culturale della contemporaneità cristiana.

Cerchiamo ora di metterne in luce alcune caratteristiche del noi di Nozick.

Primo. Gli individui che formano un noi mettono in comune non solo il proprio benessere, ma anche la loro stessa autonomia: alcune decisioni, ad esempio, devono essere prese insieme. Ciò è interessante ai fini dell’interpretazione del bilanciamento degli interessi di coppia: è difficile trovare un contesto in cui tendenzialmente ci si metta in discussione da questo punto di vista. Tendenzialmente, infatti, vi sono sempre rapporti asimmetrici. Un tempo era, e purtroppo ancora è, il sesso del partner a predominare, oggi magari è il peso economico o sociale: in ogni caso questi sono solo alcuni esempi che disvelano come la dialettica relazionale si sviluppi, ahimè, in rapporti di forza. E non solo per una coppia. Una delle cose più difficili è saper vivere da pari e questo è possibile, momento per momento, solo quando chi è depositario di un privilegio sull’ altro, anche emotivo, riporti in equilibrio il rapporto.

Secondo. È connaturato nel noi il desiderio di affermare ed esprimere la propria identità di coppia di fronte alla collettività (perciò le coppie omosessuali che non possono farlo incontrano un serio ostacolo, come nel caso del matrimonio, che Nozick definisce “segno della totale identificazione in un noi”). Certe tematiche andrebbero sempre affrontate con delicatezza, anche nella negazione di presunti diritti.

Terzo. La difficoltà o l’impossibilità di concepire l’idea di “fare a cambio”, il desiderio di stare con una determinata e particolare persona e non essere solo qualcuno che sta con lei: “in un noi le persone non hanno semplicemente un’identità ampliata, ma condividono un’identità. Il desiderio di condividere con qualcun altro non solo la nostra vita, ma anche la nostra stessa identità è la massima apertura di cui siamo capaci”. Il tema della monogamia non può che essere affrontato a livello di cammino spirituale, non con la repressione etica. Naturalmente e per mero piacere siamo portati alla varietà, frutto anche dell’eccitazione del momento. Ogni scelta è, però, una rinuncia: per portare avanti certi modelli di vita, bisogna ucciderne altri. Alla sensibilità di ognuno le proprie priorità.

Per concludere questo breve affresco sull’articolata ed affascinante posizione di Nozick, invero un po’ troppo inquinata da mie riflessioni personali, una riflessione sulla sessualità: “nel momento in cui il desiderio sessuale si unisce all’amore come suo veicolo di espressione, e perciò a sua volta diventa più intenso, l’esigenza reciproca di monogamia sessuale diventa quasi inevitabile: per dimostrare, offrendo la nostra più grande intimità fisica solo a questa persona particolare, quanto sia intima ed unica l’identità che abbiamo formato con lei”. Bello. Troppo spesso la società, il contesto, la propria intima debolezza, costringono a vivere esperienze mozze.

Arnaldo Mitola

Un ringraziamento ad Elena Nustrini

Bibliografia

Robert Nozick, La vita pensata, BUR, 2004

Bibliografia online

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