Il significato di una parola nel secondo Wittgenstein – la Dunstkreis

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“Una parola è come una ghianda da cui può nascere una quercia di significati”.

Una parola non ha un unico significato, ma esso cambia a seconda del contesto. Questo per Wittgenstein è il punto decisivo del passaggio tra il suo primo e secondo pensiero. Nel suo primo pensiero una parola aveva significato solo in quanto raffigurante un qualcosa, e quindi il suo significato si esauriva nella rappresentazione, per esempio il significato della parola “mela” è quello dell’oggetto fisico che noi designiamo con tale nome. Tuttavia ciò è estremamente riduttivo: se prendiamo per esempio la parola “Schubert”, non possiamo assolutamente affermare che il suo significato si esaurisca nella designazione dell’ometto dalla fronte alta che oltretutto nessuno dei viventi ha avuto il piacere di incontrare. La maggior parte di noi, ossia tutti coloro che non sono andati a vedere un ritratto di Schubert, non ha neanche minimamente idea di come egli sia fatto, non ha pertanto un’idea raffigurativa della parola Schubert, che tuttavia noi utilizziamo nel quotidiano per costruire frasi come: “questo pezzo è bellissimo, è Schubert”, o “quel ragazzo quando suona sembra Schubert”. Nessuno di noi vuole dire che il pezzo di musica abbia gambe, braccia e parli viennese, né che il ragazzo in questione quando suona si ritrova con una fronte alta e identico a Schubert, ma la parola “Schubert” ha per noi un significato che va al di là di Schubert-uomo e comprende ciò che egli ha fatto nella vita, in particolare il suo essere compositore di bellissimi pezzi musicali. Esempi simili si possono fare con parole come “Einstein”, “Hitler”, etc.. Wittgentein considera questo ampliarsi dei significati di una parola e osserva come dal significato primo della parola, quello ostensivo, ovvero quello raffigurativo, “si imponga una nuova immagine”. Questi nuovi significati risultano da quella che Wittgenstein chiama “atmosfera (Dunstkreis, polvere intorno) della parola”. L’insieme dei vari significati della parola, ovvero la sua atmosfera (non delimitata in quanto può essere sempre ampliata con la creazione di nuovi significati), fa emergere la sua “fisionomia”, vieppiù delineata con l’aumentare della conoscenza dei vari significati che la parola può assumere nei vari contesti. L’applicazione figurata della parola non può entrare in conflitto con il suo significato originario: “chiama il significato figurato sogno (reverie) – non cambia nulla” (Merleau-Ponty), ma ciò non toglie nulla alla legittimità di un’espressione non standard perché tale espressione figurata si impone ed esprime l’individuo sul quale essa si è imposta.Per tornare all’esempio, alla parola Schubert, che di per sé continua a connotare unicamente l’individuo così chiamato, sussiste nondimeno anche una relazione differente, costituita precisamente dall’atmosfera della parola “Schubert”, dalla relazione che tale nome ha con altre connessioni che costituiscono l’intreccio della nostra cultura, del nostro linguaggio. È in relazione al complesso di una cultura che si può comprendere il significato di una nuova unica espressione inaudita. I nomi, come “Schubert” si connettono a una storia, a un racconto che ha le proprie radici in una cultura e nell’intreccio delle relazioni di un gioco linguistico. Questi nomi assieme ai loro significati figurati vengono a costituire una totalità aggregata, un “tutto solido” (eine solides Ganzes). Schubert, le sue opere, il suo nome, la sua storia, il suo radicamento in una cultura, suscitano la particolare, unica e originale Dunstkreis di significato che associamo al suo nome. “Shubert” cessa quindi di essere un segnale, un indicatore, e diventa simbolo colmo di significato. Così il termine “Schubert”, attraverso quest’esperienza vissuta del significato, da nome può trasformarsi in aggettivo, cioè nel criterio di una storia umana (per fare un esempio quotidiano: “sei un Einstein” – Qui è un nome però…). Quando un termine generico, astratto del linguaggio di codice assorbe in sé la Dunstkreis dell’esperienza vissuta, dice Wittgenstein, diventa un mondo, poiché risulta essere espressione dell’unicità di un’esperienza vissuta: ““Addio!” Tutto un mondo di dolore sta in queste parole. Come può stare in esse? Vi è connesso. Le parole sono come la ghianda da cui può nascere una quercia”.

Wittgenstein fa un parallelo con la musica e il tema musicale, parlando della nostra comprensione della musica (Ricerche filosofiche, proposizione 527 “comprendere una frase musicale è come il comprendere un linguaggio”): né nessi causali, né dicotomie tra corpo e mente, né sensazioni catturano il significato del tema musicale, ma il significato del tema musicale consiste nella nostra reazione verso di esso, in quanto questa reazione scaturisce da un contesto di relazioni linguistiche, di circostanze, di passate esperienze, in una parola dalla cultura come un corpo solido del nostro gioco linguistico. La comprensione della musica non è un frammento separato dal resto della nostra vita. La comprensione che possiamo trasmettere a qualcuno consisterà in esempi, connessioni e riferimenti linguistici, culturali e esperienziali; in qualcosa, dunque, che avrà un senso diverso da una spiegazione normativa che risulterebbe impotente e inefficace. Le parole e la musica possono darci infinite sensazioni, in quanto da un lato esse sono comprese immediatamente e istantaneamente, dall’altro perché quelle parole risultano connesse “al nostro vagare su e giù lungo i dintorni e i contesti delle nostre parole”. La Dunstkreis della parola, il pathos del suo significato sono un effetto della risonanza che un tema musicale, un’espressione verbale, un’immagine intrattengono con il resto della nostra vita. I sentimenti, gli affetti, le emozioni non vengono tradotti nel linguaggio, piuttosto essi abitano il linguaggio: la parola non è più soltanto un veicolo dell’informazione, un segnale standard fissato da una conversazione; essa diviene l’espressione della personalità individuale degli esseri umani. Non è rilevante la spiegazione dell’ampliamento dei significati di una parola, ma l’inclinazione (Neigung) a usare in un caso determinato una determinata espressione, in un nuovo, inedito significato: nelle proposizioni “mercoledì grasso”, “la e è gialla”, “grasso” e “gialla” non sono usati in senso metaforico, ma nel loro significato usuale, trasposti in una nuova applicazione. “Si potrebbe parlare di significato “primario” e di significato “secondario” di una parola. Solo colui per il quale la parola ha significato primario la impiega nel suo significato secondario. Il significato secondario non è un significato metaforico” (Ricerche filosofiche Paragrafo XI II parte). Come nei due esempi della “e” gialla e del mercoledì grasso “Gregor Samsa-scarafaggio” non indica che Samsa, il protagonista della Metamorfosi di Franz Kafka, è un uomo con il corpo di uno scarafaggio, o uno scarafaggio con memoria e consapevolezza di un uomo. Il significato è immediato, unico, indivisibile. Anche se diciamo “Ho provato un senso di irrealtà” non usiamo irrealtà in senso metaforico: l’espressione di un’esperienza non consiste nella denotazione di un processo psicologico. Infatti chi esperisce la sensazione di perdita di realtà non intende asserire che non esiste la realtà, che sono spariti case, tavoli ecc.: tutte queste entità esistono e appaiono come appaiono ordinariamente, ma ora sono coinvolte in una nuova applicazione del linguaggio che genera il gesto di un nuovo significato. Non si tratta chiaramente di una denotazione, ma neanche di una metaforizzazione, perché non stiamo paragonando una sensazione con qualcos’altro, per esempio con una parola, bensì viviamo l’esperienza del significato nella parola che lo contiene come propria Dunstkreis. In questo consiste l’espressivismo wittgensteiniano che rifiuta di considerare come metaforici i discorsi sull’esperienza interiore o quelli sulla magia, sui rituali o sulla religione.

Per concludere, quando parliamo di significato di una parola, questo è la sua fisionomia, conseguente alla conoscenza per prassi, ovvero l’utilizzo della parola nei diversi giochi linguistici, della loro Dunstkreis. Attraverso la prassi la parola ci diventa “familiare”. La nostra familiarità con le parole di un determinato linguaggio rende conto, nella prassi linguistica, della nostra capacità di riconoscere differenze che per esempio un interlocutore straniero non potrebbe afferrare. La presunta atmosfera peculiare in cui sarebbero avvolte le espressioni del nostro linguaggio, anziché essere ricondotta a misteriosi processi privati, viene quindi esplicata da Wittgenstein con la familiarità che intratteniamo con le parole. Le parole, praticate nel corso della nostra prassi linguistica, arrivano infine, dice Wittgenstein, a diventare qualcosa di paragonabile a “volti ben noti”.

Beniamino Peruzzi

Bibliografia

 Aldo Gargani, Wittgenstein: musica, parola, gesto, Scienze e idee, 2008

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