Coscienza di Zeno e rivoluzione dei quanti – Letteratura in una realtà frammentata

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I due pilastri su cui si basa la teoria quantistica dei campi sono le due “rivoluzioni” rispetto alla fisica classica avvenute all’inizio del secolo scorso: la meccanica quantistica e la teoria della relatività ristretta. Queste due teorie innovative stanno quindi alla base della fisica delle particelle, ed hanno permesso il suo rapido sviluppo nel corso del Novecento.

Uno degli aspetti più importanti che la meccanica quantistica ha introdotto nel mondo subatomico, è il carattere probabilistico associato al moto e all’evoluzione delle particelle. Per esempio, dal Principio di Heisenberg, per cui è impossibile stabilire al contempo la velocità e la posizione di un elettrone, emerge l’impossibilità di determinare con certezza alcuni fenomeni, i quali risultano vincolati non più dalla necessità ma dalla probabilità.

Questa differenza è sostanziale, in quanto mette in crisi l’intero paradigma meccanicistico e assesta un duro colpo alla fisica classica di Newton e Galileo. La formulazione di queste due teorie, assieme alle nuove scoperte nel campo della termodinamica e della matematica, come lo sviluppo del concetto di entropia e della geometria non euclidea, hanno portato verso la fine del XIX secolo ad una grave crisi della razionalità scientifica. Prima di allora la scienza si reggeva tutta su spiegazioni di tipo matematico e geometrico, che rappresentavano il mondo come un grande orologio meccanico governato da leggi certe e immutabili. Il carattere deterministico di queste regole dava adito all’idea di un cosmo in cui vigeva l’ordine e la razionalità. In un tale universo la scienza avrebbe avuto un potere illimitato e, come sostenuto con fervore dai positivisti, sarebbe stata in grado di sondare ogni aspetto della realtà, fino ai recessi più reconditi dell’universo.

Con l’avvento della meccanica quantistica e delle altre teorie basate sulla statistica e sulla probabilità, l’universalità delle leggi scientifiche viene messa in discussione: esse non risultano più valide per qualsiasi particella, ma contengono sempre un certo margine di indeterminazione, qualunque sia  la potenza e la precisione dello strumento a disposizione. Un principio cardine della meccanica quantistica è la funzione d’onda di Schrödinger . La funzione si basa sul fatto che a certi livelli la misura perturba inequivocabilmente il sistema fisico preso in esame. Tutto ciò si traduce nell’impossibilità di uno sguardo oggettivo e distaccato sulla realtà, e di una perfetta precisione nella misurazione scientifica.

Un altro colpo destabilizzante alla nostra percezione della realtà, fu dato dal fisico Max Planck con la formulazione del cosiddetto “principio della discontinuità del reale”. Planck scoprì che l’energia era costituita da particelle dette quanti: la realtà non era allora qualcosa di uniforme e continuo ma si rivelava frammentata in minuscole particelle di energia. Per chiarezza potremmo accostare questo  cambiamento della percezione della realtà alla differenza tra un’opera classica e una puntinista.

Queste teorie non hanno determinato solo una perdita dell’unità e della compattezza della scienza, ma hanno anche avuto ripercussioni su un fronte molto più ampio. L’eco di questa crisi della razionalità ha investito anche altri campi del sapere, che non potevano più restare indifferenti di fronte alle nuove scoperte scientifiche.

In questo articolo ci vogliamo concentrare sulle ripercussioni in ambito letterario, in particolare prendendo in analisi l’inattendibilità dei soggetti sveviani. Questi personaggi, con la loro incapacità di una visuale lucida, coerente e priva di mistificazioni riflettono molto bene lo sconvolgimento del mondo scientifico che ha caratterizzato i primi anni del ‘900.

Nel secondo romanzo dell’autore triestino, Senilità, il protagonista Emilio Brentani è portatore di una “falsa coscienza”, che si costruisce continuamente maschere e alibi per nascondere ai propri occhi le vere motivazioni dei propri atti. La sua prospettiva deformante e il suo punto di vista inattendibile, vengono denunciati dal narratore esterno con commenti secchi e giudizi taglienti. In questo romanzo la lucidità superiore del narratore è ancora in grado di smascherare gli autoinganni di Emilio, e di distinguere tra la “verità” e la “menzogna”.

Questa onniscienza del narratore viene però meno nel romanzo successivo dell’autore, ossia la Coscienza di Zeno, che possiede invece un impianto autodiegetico (cioè con narratore interno), e che quindi abbandona il modulo naturalistico della voce anonima ed esterna al piano della vicenda. Il romanzo, pubblicato nel 1923, è scritto sotto forma di un memoriale, cioè una confessione autobiografica. Il protagonista vi narra le vicende della propria vita, cercando una spiegazione alla propria presunta malattia mentale nei recessi del suo passato. L’invito alla stesura dello scritto proviene dal Dottor S. – lo psicoanalista a cui Zeno ha affidato le proprie cure – il quale spiega l’instabilità mentale del protagonista con la sua celata rivalità con il padre. Questo responso viene subito rifiutato dal protagonista, che cerca in ogni modo di affermare, ai suoi stessi occhi, la propria innocenza, e che respinge nel subconscio gli impulsi aggressivi nei confronti del padre.

Anche qui l’inattendibilità di Zeno-narratore viene denunciata fin da subito dalla prefazione del Dottor S., secondo cui il memoriale è il frutto di un tentativo di giustificarsi e di reprimere i sensi di colpa nei confronti del padre. Le menzogne di Zeno non derivano da una volontà cosciente e ingannatrice, ma sono determinate da processi profondi e inconsapevoli. L’incapacità di guardare con fare distaccato e veritiero alle esperienze del proprio vissuto diventa così qualcosa di insito nell’uomo. Il soggetto cosciente non è più in grado di distinguere la realtà che lo circonda senza alterarla irrimediabilmente. Ogni considerazione sul mondo e addirittura su sé stessi, risulta quindi, inevitabilmente, di carattere soggettivo e incerto.

Nonostante la sua “falsa coscienza” e la sua condizione di “inetto”, Zeno non può essere considerato un eroe del tutto negativo. Proprio qui sta la sostanziale differenza con i romanzi precedenti. Mentre infatti il narratore di Senilità poteva criticare Emilio dall’alto della sua condizione di superiorità, nella Coscienza di Zeno quest’ottica oggettiva e imparziale non esiste più: Zeno è un’entità mutevole e incerta, avvolta da un alone di ambiguità che rende impossibile adottare un sicuro metro di giudizio. L’eroe si trasforma in un inetto-abbozzo, mobile, fluido e inafferrabile, che inizia dunque ad assomigliare molto alle indeterminate particelle quantiche. Nella figura del nostro paradossale protagonista si compenetrano verità e menzogna, salute e malattia.

La positività del personaggio risiede però proprio nella sua fluidità, che gli permette di evolvere in continuazione, di aprirsi a una nuova visione della realtà, in modo da superare le contraddizioni. È appunto questo polimorfismo del protagonista a rendere impossibile la presenza di un narratore esterno, che giudica secondo valori certi e determinati; per questo si è reso necessario un impianto autodiegetico del romanzo.

L’abbandono finale da parte di Zeno di un’esistenza rigida e immutabile e la mancanza di un punto di riferimento fisso per un osservatore esterno sono gli elementi che lo mettono con chiarezza in relazione con la profonda crisi della scienza di quegli anni. In un mondo fluido e indeterminato, il nostro protagonista è in grado, anziché remare contro in cerca di stabilità, di lasciarsi portare dai flutti, adattandosi dinamicamente alle situazioni più svariate.

Davide Sparasci

Bibliografia

Italo Svevo, Coscienza di Zeno, 1985, Garzanti

Italo Svevo, Senilità, 2006, Garzanti

http://www.infn.it

Immagine

http://www.music-bazaar.com/italian-music/album/349211/La-Coscienza-Di-Zeno/

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